Anien, Anio, Anienvs, Aniene

Anih∑, AniΩn, Anihno∑

Aniene, Teverone

[t. 1, pp. 156-162 ]

Fiume che dapprincipio appellossi Pareusio, e che cangiò il nome dopo che che Annio re de’Toscani vi si gittò. Questa antica tradizione ricordata già da Aristide Milesio e da Alessandro Polistore nel III libro delle cose italiche, in questi termini ci è stata conser­vata da Plutarco ne’Paralleli § XI. “Annio poi re de’Toscani, avendo una figlia di belle forme di no­me Salia la custodiva vergine. Cateto però uno dei  più illustri personaggi, vedendo la donzella giuoca­re fu preso d’amore e non coprendo il suo fuoco la rapì e la condusse in Roma. Il padre inseguendolo,e non potendo prenderlo si gittò nel fiume Pareu­sio, il quale cangiò il nome in Anione: a Salia poi congiuntosi Cateto nacquero Latino e Salio, dai qua­li i più nobili trassero origine.”Varia è la for­ma del nome di questo fiume: egualmente antica può dirsi quella di Anien e di Anio, poiché la prima per testimonianza di Prisciano lib. VI. c. III. fu usa­ta da Catone nella orazione contra Veturio: Aquam Anienem in sacrarium inferre oportebat: non minus XV. milia ANIEN abest: l’altra da Ennio, dicendo Servio nella nota al verso 683 del VII. della Eneide: Anio fluvius haud longe ab urbe est…. En­nius Anionem dixit ( non Anienem ) iuxta regu­lam. Da Anien venne Anienus, forma usata da Pro­perzio lib. IV. el. VII. v. 86 e da Stazio Sylvar lib. I.§. III. r. 70. Questa forma fu pure seguita da Dionisio libro in. c. XXII. il quale d’altronde in tre altri passi lib. III. c. LV. lib. V. c. XXXVII. lib. VI. c. XLV. segue l’altra di ANIH∑. Strabone lib. V. c. III. S. II. lo dice ANIΩN. Ne’tempi bassi, specialmente dopo che è entrato nella pianura, trovasi nelle cronache e nelle carte chiamate col nome di Tiberius, Tiburius, Tiverone ed anche Tiberis. I moderni indistintamen­te lo chiamano Aniene, e Teverone: e quanto a que­sta ultima denominazione s’incontra la prima volta nel­la bolla di Agapito II. dell’anno 955 esistente nell’ar­chivio di s. Silvestro in Capite, posto come uno dei termini del casale denominato Lampari di là da pon­te Nomentano: a tribus lateribus fluvium qui Tivero­ne circurndatur.
Plinio Hist. Nat. lib. III. c. V. §. IX. parlando del Tevere indica questo fiume insieme col Nar, come uno de’suoi principali influenti, e navigabile, e come quello che serve di barriera al Lazio dal canto di die­tro: Latium includit a tergo: e più sotto c. XII.§. XVII. lo indica come confine de’Sabini verso il La­zio, e dice che nasceva in monte Trebanorum. Altret­tanto si trae da Frontino de Aquaed. c. XCIII. di­cendo che nasce sopra Trebam Augustam, dove infatti sono le sue sorgenti. Quindi errò certamente Strabone lib. V. c. III. §. 8 allorché credette, che l’Aniene ve­nisse da Alba, città latina nel paese de’Marsi, poiché in fatti il bacino dell’Aniene è separato da quella cit­tà dai bacini del Turano, e del Salto, influenti del Ve­lino e divisi fra loro da montagne altissime, quali so­no quelle che costituiscono il dorso principale dell’Appennino. Questa ragione medesima mi fa declinare dal­la opinione emessa da alcuni che l’Aniene possa deri­vare dal lago Fucino; imperciocché supponendo che la livellazione non vi si opponga, cosa da dimostrarsi, le sorgenti del fiume, sia che si riconoscano presso Fi­lettino, sia che si credano sotto Trevi, non solo sono separate dal bacino del Fucino da quattro creste di monti, cioè da quelle di M. Cotente, di M. Cantaro, della Serra s. Antonio, e di M. Salviano; ma fra que­ste due ultime si apre il bacino del Liri tanto più vi­cino al lago, e che perciò ne riceverebbe più direttamente lo scolo naturale, che si crede esser quello del­la Pedogna distante in linea retta sole 3 miglia dal cor­so del Liri, il quale certamente è più basso del pelo delle acque del lago, come dimostra l’emissario clau­dio, che vi andava a scolare.
Muovesi la questione se debbansi riconoscere co­me vere sorgenti dell’Aniene quelle che formano il ri­vo che scende da Filettino, ovvero quella del monte Piaggio, che è il Mons Trebanorum degli antichi; poiché Treba Augusta, è oggi Trevi indubitatamente, perchè conserva parte del recinto originale in massi quadrilateri irregolari, conserva pure capitelli di ordi­ne ionico di stile antichissimo, iscrizioni, ed altri ornati, e Trevi, dico, è edificata sopra una balza di que­sto monte, che domina immediatamente la convalle, do­ve l’Aniene assume la forma di un rivo. A dire il ve­ro tutte le sorgenti di questa convalle possono dirsi sor­genti dell’Aniene; ma quella che offre un carattere de­ciso pel volume dell’acqua, che ne sgorga, e che dà all’Aniene la forma di fiume, è quella un miglio più oltre di Trevi, chiamata lo Pertuso. E questa si tro­va perfettamente di accordo coi passi di Plinio, e di Frontino allegati di sopra. Limpidissima e gelida è l’ac­qua di questo fiume: amenissima la convalle, in che si uniscono le sorgenti: ombrosa, pittoresca, e solinga è la valle che percorre fino a Subiaco. Il suo corso è rapido, e generalmente romoreggiante, poiché le acque si rompono frai sassi calcarei, che le attraversano, e formano successive cadute, fralle quali meritano parti­colare menzione, quella che si ammira presso al pon­te di Cominacchio, e quella bellissima sotto Jenne. A Subiaco formava tre laghi artificiali e successive cadu­te, oggi scomparse v. l’art. SUBIACO. Nel tratto so­vraindicato, fra Trevi e Subiaco, riceve a destra il rio Pantano volgarmente detto il fosso di Valle Pietra, e­guale per volume e limpidezza all’Aniene stesso: e sot­to Jenne quello dell’Acquaviva sulla riva sinistra. Do­po Subiaco, circa 6 miglia distante confluiscono nell’Aniene lo acque della valle di Ponza, Affile, Tuccia­netto e Canterano, sulla riva sinistra; e dopo Augu­sta il rivo della Claudia, e quindi quello della Marcia e di tutta la valle di Arsoli sulla destra. Dopo il bi­vio della strada di Subiaco e di quella di Riofreddo, circa 32 m. lontano da Roma influiscono ivi esso le ac­que argentine del rivo Ferrata a destra, e due miglia più oltre verso Roma quelle del Digenzia celebrato da Orazio. Quasi dirimpetto a s. Cosimato riceve il tribu­to del Giuvenzano, e di là scorrendo sempre in un let­to incassato, ombroso, e pieno di scogli con impeto si prepara al salto precipitoso, che fa a Tivoli. Ivi si ri­conosce che in origine le falde del monte Ripoli a si­nistra, e del Catillo a destra, tal barriera opponevano al fiume, che le sue acque per lungo tempo lottarono ad aprirsi un varco verso la pianura romana, ed in questo frattempo formarono sedimenti ed incrostazioni tali, che reca meraviglia l’altezza alla quale giunsero e questa è quella tal roccia o sasso friabile, sul quale giace la città di Tivoli. Ma sia pel peso dell’acqua, sia per qualche catastrofe a noi ignota, il fiume apris­si finalmente un varco filai due monti, e per la rapidità del suo corso andò successivamente limando, e fo­rando le materie stesse da lui lasciate nel tempo del ristagno: quindi finché rimase libero andò soggetto a cangiamenti continui, e quando fu ritenuto da chiuse artificiali andò cercando un varco, or nella destra, ora nella sinistra ripa. E dacché abbiamo memorie stori­che, fino alla ultima catastrofe del 1827, è chiaro che dapprincipio precipitavasi da sopra la grotta detta del­le Sirene, quindi da sopra quella detta di Nettuno, og­gi scomparsa, e finalmente dalla chiusa artificiale fra­nata nel lato destro l’anno suddetto. Ma di ciò più a lungo nell’articolo TIVOLI.
Dopo la caduta, per un piano fortemente inclina­to discende nella pianura romana, dove assumendo un carattere tutto placido mesce nel Tevere le sue acque 3 miglia fuori della porta Salaria di Roma, dopo aver ricevuto sulla riva sinistra le acque del Veresi, e dell’Osa, e sulla destra le Albule, e quelle del Maguglia­no: il suo confluente è graficamente descritto da Silio lib. XII. v. 539. e seg. dicendo di Annibale, che pre­cipitoso corse a porre il campo:
Sulfureis gelidus qua serpit leniter undis
Ad genitorem Anio labens sine murmure Thybrim.
Esso ha dalle sorgenti fino al suo confluente nel Tevere circa 80 miglia di corso. Il suo letto abbandonato a se stesso è irregolare per ogni parte, pieno di scogli, attraversato da alberi e da tronchi caduti, in­terrotto da banchi di sabbia, e da isole coperte di piop­pi, e di salci. Questo carattere è pittoresco, ma così o­gni utilità che potrebbe trarsi da esso è perduta. Gli antichi lo aveano fatto navigabile almeno dal ponte Lu­cano fino al suo confluente: infatti Strabone libro V. c. III. §, 11. mostra che in esso imbarcavansi i massi di pietra tiburtina, gabina, e rossa, ossia tufa, che veni­vano a Roma: e Plinio nel luogo notato di sopra, do­ve paria del Tevere, dice che veniva accresciuto da 24 fiumi, praecipuis autem Nare, et Aniene, qui et ipse navigabilis Latium includit a tergo. Ma ne’tempi bas­si anche questo venne negletto e la navigazione rima­se interrotta. Giulio II. fralle tante opere grandi, che intraprese fece ancor questa di spurgare l’alveo del Te­vere e dell’Aniene, onde questo fosse di nuovo navi­gabile. L’Albertino nella sua opera de Mirabilibus no­vae et veteris urbis Romae, che dedicò allo stesso pa­pa Giulio, scrisse un paragrafo che intitolò de Cloa­cis et purgatione Anienis, nel quale dichiara questo lavoro, come preclaro ed utile a Roma ed a Tivoli, e conchiude: quae quidem omnia miro artificio et ingenio a tua sanctitate adinventa sunt ut naves ipsae facillime in Tiberim ipsum perducantur onustae, ma­xima commoditate simul cum utilitate totius urbis. E certamente la navigazione dell’Aniene molto proficua sarebbe al commercio interno da Subiaco a Roma, po­tendosi per mezzo di chiuse farsi questo fiume naviga­bile da quel punto fino a Tivoli: come da Tivoli a Roma dopo il ponte dell’Acquoria: e da Subiaco fino al ponte di Cominacchio potrebbe pur farsi navigabile a piccole barche, o a zattere. Ora il ponte di Comi­nacchio potrebbe servire come centro di deposito del­le merci provenienti dall’interno della Marsicana, e della parte alta della provincia di Campagna; ma for­se troppo costosa impresa sarebbe questa ai tempi no­stri. Men costosa, e di grande utilità potrebbe esser quella di farlo un mezzo d’irrigazione per una gran parte dalle terre dell’agro romano, a settentrione e ad oriente di Roma. Gli antichi celebravano la limpidez­za, freschezza, e placidità delle sue acque, s’intende sempre prima di precipitarsi nella pianura: leggansi specialmente Virgilio, Frontino, e Plinio giuniore nella epistola XVII. del libro VIII.

I commenti sono chiusi.