S. Agnese, e S. Costanza

Suburbanum Constantini Aug.
[t. 1, pp. 48-59]

Basilica eretta ad onore della santa di questo nome 1 miglio e tre quarti fuori della porta Pia, ossia 2 mi­glia fuori dell’antica porta Collina sulla via nomenta­na. Essa è. parrocchiale, subarbicaria di Roma, dipen­dente dai canonici regolari lateranensi.
Anastasio bibliotecario nella vita di Silvestro I di­ce, che Costantino fece a preghiera di Costantina sua figlia, quella cioè natagli, da Fausta figlia di Massimiano Erculio, basilicam beatae Agnetis martyris, e nello stesso luogo un battisterio, in che venne battez­zata dallo stesso Silvestro la sua sorella Costanza Au­gusta, cioè Flavia Valeria Costanza moglie di Licinio, ricordata da Eutropio lib. X. c. IV. E quindi, enumera le donazioni e le rendite fatte dallo stesso cesare a que­sta chiesa. A conferma di questa notizia leggevasi nell’apside, o tribuna la seguente iscrizione acrostici, ri­ferita dal Grutero sulla fede delle schede scaligeriane p. MCLIX. n. 9 e dopo dal Ciampini e da altri, la qua­le sembra essersi smarrita nel ristauro fatto nel seco­lo XVI. per opera del card. Verallo:

CONSTANTINA DEVM VENERANS CHRISTOQVE DICATA
OMNIBVS IMPENSIS DEVOTA MENTE PARATIS
NVMINE DIVINO MVLTVM CURISTOQVE IVVANTE
SACRAVIT TEMPLVM VICTRICIS VIRGINIS AGNES
TEMPLORVM QVAE VICIT OPVS TERRENAQVE CVNCTA
AVREA QVAE RVTILAT SVMMI FASTIGIA TECTI
NOMEN ENIM CHRISTI CELEBRATVR SEDIBVS ISTIS
TARTAREAM SOLVS POTVIT QVI VINCERE MORTEM
INVECTVS CELO SOLVSQVE INFERRE TRIVMPHVM

NOMEN ADHVC REFERENS ET CORPVS ET OMNIA MEMBRA
A MORTIS TENEBRIS ET CAECA NOCTE LEVATA
DIGNVM IGITVR MVNVS MARTYR DEVOTAQVE CHRISTO
EX OPIBVS NOSTRIS PER SAECVLA LONGA TENEBIS
O FELIX VIRGO MEMORANDI NOMINIS AGNES

Questa lapide per lo stile direbbesi opera di Da­maso I papa, che governò la chiesa dall’anno 366 fino al 385; e la basilica fu eretta circa l’anno 324. Ora la santa avea sofferto il martirio circa l’ anno 310, im­perando Massenzio in Roma, ed essendo prefetto del­la città Sempronio o Sempronio, siccome ricavasi da­gli atti del suo martirio stesso, contenuti nella epistola di s. Ambrogio, dal martirologio romano, da quello di Adone, da Usuardo, e dal Corsini nella Series Praefectorum Urbis. La chiesa fu eretta sul cemeterio, nel quale era stata sepolta la santa, in un fondo che era parte del demanio imperiale di Costantino, siccome si trae da Ammiano Marcellino, e dove fu costrutto poscia un mausoleo per la famiglia di quell’imperado­re. Presso di questa chiesa abitò Liberio papa ritornato dall’esilio, siccome narra il Bibliotecario menzionato di sopra, dicendo, che, rediens autem habitavit in coemeterio beatae Agnes apud germanam Constantii, Constantiam Augustam, ut quasi per ejus interventionem aut rogatum rediret in civitatem. Egli ornò il sepolcro della santa di lastre di marmo, sopra una del­le quali papa Damaso I poi scrisse il seguente elogio, che ancor si conserva nella chiesa, il quale fu scoperto di nuovo nel 1728 per le cure del Marangoni, come egli stesso riferisce nell’appendice degli atti di s. Vittorino p. 137, 138, e che fu da lui publicato, e poscia con la più scrupolosa esattezza riprodotto dal Bayer nella dissertazione intitolata Damasus et Laurentius Hispanis as­serti et vindicati. p. 54:

,

FAMA REFERT SANCTOS DVDVM RETVLISSE PARENTES
AGNEN CVM LVGVBRES CANTVS TVBA CONCREPVISSET
NVTRICIS GREMIVM SVBITO LIQVISSE PVELLAM
SPONTE TRVCIS CALCASSE MINAS RABIEMQ. TYRANNI
VRERE CVM FLAMMIS VOLVISSET NOBILE CORPVS
VIRIB. IMMENSVM PARVIS SVPERASSE TIMOREM
NVDAQVE PROFVSVM CRINEM PER MEMBRA DEDISSE
NE DOMINI TEMPLVM FACIES PERITVRA VIDERET

O VENERANDA MIHI SANCTVM DECVS ALMA PVDORIS
VT DAMASI PRECIB. FAVEAS PRECOR INCLYTA MARTYR.

Il Martinelli nella sua Roma Ex Ethnica Sacra p. 53, dice che papa Innocenzio I dié a questa chiesa il tito­lo di basilica: hoc Innocentius basilicae titolo deco­ravit, et presbyteris, gubernandum, regendum et or­nandum tradidit. Ma Anastasio altro non dice nella vita di quel papa, se non che constituit basilicam bea­tae Agnae martyris a presbyteris Leopardo et Paul­lino cum sollecitudine gubernari, regi, et ornari; quindi non dié alla chiesa il titolo di basilica, che già avea per la forma, e l’ampiezza, ma ordinò, che i pre­ti Leopardo e Paolino la governassero, reggessero, ed ornassero con premura. Nello scisma di Eulalio, Bonifa­cio I papa celebrò nell’anno 418 la pasqua in s. Agne­se, come viene indicato da Anastasio. Simmaco I sul principio del secolo seguente rinnovò la tribuna, che minacciava rovina, e tutto il rimanente della basilica, secondo lo stesso biografo. Malgrado questa rinnovazio­ne, la basilica trovavasi un secolo dopo in uno stato di tale deperimento, che papa Onorio I circa l’anno 620 la riedificò dalle fondamenta, la colmò di ornamenti e particolarmente decorò l’apside col musaico che tutto­ra vi si vede: così descrive Anastasio questa riedifica­zione di Onorio: Fecit quoque (invece di refecit,) ec­clesiam beatae Agnae martyris a solo in qua re­quiescit, via nomentana milliario ab urbe Roma III. quam undique ornavit et exquisivit, ubi et multa dona posuit. Ornavit et sepulcrum eius ex argento pens. libras CCLII. Posuit desuper ciborium aereum deauratum mirae magnitudinis. Fecit et gabatas ( specie di lampadi ) aureas III pensantes singula li­bras II.Fecit autem et absidem basilicae ex musi­vo ubi etiam multa alla dona obtulit. Mentre rima­ne, come si disse, questo musaico, e nel resto lo sti­le e la costruzione delle parti antiche della basilica so­no contemporanee del primo periodo del secolo VII in che visse Onorio I, di quella primitiva enstantinia­na, e di quella rinnovata da Simmaco non si vedono più tracce. Sopraggiunte nel secolo susseguente le scor­rerie de’Longobardi, questa chiesa, come tutte quelle del distretto di Roma ebbe molto a soffrire nell’ asse­dio, che Astolfo pose a Roma l’anno 755, allorché se­condo Anastasio nella vita di Stefano II: Omnia quae erant extra urbem ferro et igne devastans atque funditus demoliens consumsit…. et multa corpo­ra sanctorum effodiens, eorum sacra mysteria ad magnum animae suae detrimentum abstulit. Veggasi inoltre la lettera di papa Stefano II a Pipino inserita nel codice cavolino, e ciò che su di essa scrissero il Fleury Hist. Eccl. lib. XLIII. §.17 ed il Muratori An­nali d’Italia an. 755
Trovandosi pertanto la chiesa di s. Agnese in uno stato di grave decadimento, Adriano I circa l’anno 775 la ristaurò di nuovo, dopo che per la vittoria di Carlo Magno del 773 si spense il regno de’Longobardi in Ita­lia. Sembra, che in questo ristauro, o antecedentemen­te nella rinnovazione di Onorio I al nome di s. Agnese si fosse aggiunto ancora quello di s. Emerenziana sua collattanea, la quale secondo s. Ambrogio lib. IV ep. XXXIV ed il martirologio romano, essendo ancora catecumena fu lapidata sul sepolcro stesso di s. Agnese, mentre faceva orazione; imperciocché Anastasio dice nella vita di Adriano I che quel papa: ecclesiam vero beatae Agnetis martyris, seu BASILICAM BEATAE EMERENTIANAE, pariter etiam et ecclesiam beati Nicomedis sitam foris portam Nuntentanam… quae a priscis marcuerant temporibus, a novo renovavit. E da questo stesso scrittore apparisce, che nel secolo IX i papi vi andavano a festeggiare il dì natalizio della san­ta, poiché fu appunto in tale occasione l’anno 564, che in questa chiesa papa Niccolò I riabilitò in tutte le sue facoltà Rotado vescovo di Soissons, che era stato deposto da Inemaro arcivescovo di Rheims.
Nella vita d’Innocenzio II scritta dal card. di Ara­gona ed inserita ne’Rerum Italie. Script. T. III P. I p. 434 e seg. leggesi, che dopo l’abboccamento d’Inno­cenzio II e Lotario, il papa ed il re sen vennero ver­so Roma e si accamparono iuxta ecclesiam s. Agne­tis, dove vennero ad incontrarli Teobaldo prefetto di Roma, e Pierleone con altri nobili romani e trasteverini, ed entrarono nella città di Roma l’anno 1134, andando il papa ad abitare nel palazzo lateranense ed il re Lotario sul monte Aventino. Fu devastata ai tempi di Gregorio IX l’anno 1241, allorché secondo Niccolò de Curbio nel­la vita di quel papa inserita ne’Rerum Italicarum Script.T. III. P. II. pag. 533 Federico II andò contra Roma, e demolì ed eguagliò al suolo, castra, turres, atque pa­latia tam ecclesiarum quam multorum Romanorum nobi­lium. Fu dopo quella epoca risarcita di nuovo, ed Alessandro IV nel 1256 vi consacrò con gran solennità i tre altari di s. Giovanni Battista, di s. Giovanni Evan­gelista, e di s. Emerenziana, siccome si trae da una la­pide contemporanea, che si vede affissa a destra nello scendere nella chiesa. E da questo monumento appari­sce, che era allora uffiziata da monache, le quali con­tinuarono a dimorarvi fino al pontificato di Sisto IV, che le trasferì altrove, e la diede ai canonici regolari lateranensi, i quali la ritengono, e vi mantengono un par­roco della loro congregazione. Fu allora ristaurata di nuovo dal card. Giuliano della Rovere, poi papa Giu­lio II, nipote di Sisto, siccome si legge sulla porta late­tale. Nel 1457 vi si accamparono le genti di papa In­nocenzio VIII contra gli Orsini per testimonianza del Nantiporto, nel suo Diario inserito dal Muratori ne’ Rer. Ital. Script. T. III P. II p. 1099. A nuovo abbandono e per conseguenza ad ulteriori rovine andò soggetta que­sta chiesa nel fatale saccheggio dell’ anno 1527, dalle quali rialzolla il celebre cardinale Girolamo Verallo che vi fece la scala per iscendervi ed il soffitto: ed in quel­la circostanza nel rimuovere i marmi della scala pri­mitiva furono scoperte molte statue, e gli otto superbi bassorilievi, ornamento del museo del palazzo Spada. Nel pontificato di Paolo V n’era protettore il. card. Pao­lo Emilio Sfrondato nipote di Gregorio XIV, detto il card. di s. Cecilia: questi ottenne, che quel papa vi fabbricasse l’altar maggiore, con quella magnificenza e ricchezza di marmi a che oggi si vede portato: ed al­lora fu con solenne ceremonia entro una cassa di ar­gento riposto il corpo della santa titolare il dì della sua festa 21 gennaio 1611. Narra il Mabillon nell’Iter Ita­licum, p. 81 che questa funzione fu causa della morte di quel papa, che appunto avvenne otto giorni dopo: Descensus in basilicam fit per gradus triginta duos. Hinc magna loco frigiditas quae Paulo V. ibidem sa­crum virginis corpus transferenti ac sacra celebran­ti letalem morbum creavit. Il pavimento della basili­ca era rimasto come quello di altre chiese de’ tempi bassi, composto di frantumi di marmi di ogni specie, ma nel 1728 fu ridotto come oggi si vede.
Questa chiesa, sebbene sia stata rinnovata, più vol­te, conserva la sua forma basilicale, e specialmente è la sola, nella quale rimanga intatto il portico superiore, come Vitruvio descrive nelle basiliche civili. Conserva inoltre le tracce del pulpito, ed il presbiterio. Essa è situata nel fondo di una convalle presso uno degli in­gressi del cemeterio, nel quale venne sepolta s. Agne­se, e che in parte è ancora accessibile. Vuole il Bol­detti, Osservazioni  ec. p. 569 che questo cemeterio fos­se situato entro un podere della santa: ed attesta, che la parte di esso, che è meno ingombra, e nella quale rinvengonsi ancora camere con pitture è quella che ha l’ingresso in una vigna già de’ pp. agostiniani di s. Agostino poco più oltre della chiesa. La località fisica, e la circostanza del sepolcro della santa furono cagione che la fronte della chiesa sia rivolta verso occidente in luo­go di stare verso l’oriente, secondo il costume genera­lo de’tempi primitivi. Quattordici colonne di ordine co­rintio, e di diametro e lavoro diverso formano il suo peristilio inferiore, ed altrettante il portico superiore, destinato nelle basiliche cristiane alle donne. Due del­le colonne del peristilio inferiore sono di marmo frigio stranamente scanalate: quattro sono di marmo lucul­lèo, o porta santa, di una bellissima macchia, delle qua­li voleva profittare papa Clemente VIII per ornare la sua cappella Aldobrandini nella chiesa della Minerva, se non ne veniva distolto dal card. de Medici, che poi fu papa col nome di Leone XI, e che allora era ab­bate commendatario di questa chiesa. Essendo la chie­sa posta in una convalle vi si scende di fianco dalla via nomentana per una magnifica scala di marmo, rifatta come si disse di sopra nel secolo XVI dal cardinale Girolamo Verallo. Sulle pareti di questa sono varie la­pidi pagane e cristiane, che vennero trovate nel 1722, allorché fu rifatto il pavimento della chiesa. La confes­sione riedificata da Paolo V nel 1620 è posta nel si­to dell’antico Chorus; gli amboni però mancano. Essa è sostenuta da quattro superbe colonne di porfido ros­so, delle quali due sono rarissime essendo di quella specie che Plinio chiama leucostictos o a punti candidi. La statua della santa titolare è di alabastro orien­tale e di bronzo dorato, opera di Niccolò Cordieri. Nell’apside, che è rivestito di marmo proconnesio, e di strisce o pilastri di porfido, vedesi ancora la se­dia episcopale, e nella volta è il musaico fatto per ordine di Onorio I il quale rappresenta la santa a cui una mano celeste pone il diadema, frai pontefici Simmaco, ed Onorio: questi gli presenta la chiesa da lui riedificata. La immagine di s. Agnese è accompagna­ta dal suo nome SCA AGNES: sotto si leggono i tre tetrastici seguenti:

AVREA CONCISIS SVRGIT PICTVRA METALLIS
ET COMPLEXA SIMVL CLAVDITVR IPSA DIES
FONTIBVS E NIBEIS CREDAS AVRORA SVBIRE
CORREPTAS NVBES RVRIBVS ARVA RIGANS

VEL QVALEM INTER SIDERA LVCEM PROFERET IRIM
PVRPVREVSQVE PAVO IPSE COLORE NITENS

QVI POTVIT NOCTIS VEL LVCIS REDDERE FINEM
MARTYRVM E BVSTIS HINC REPPVLIT ILLE CHAOS

SVRSVM VERSA NVTV QUOD CVNCTIS CERNITVR VSQVE
PRAESVL HONORIVS HAEC VOTA DICATA DEDIT
VESTIBVS ET FACTIS SIGNANTVR ILLIVS ORA

EXCITAT ASPECTV LUCIDA CORDA MENS

Nella nave sinistra è affisso al muro l’encomio di s. Agnese scritto da Damaso I e riportato di sopra in essa pure nella cappella della vergine è uno de bellissimi 6 candelabri antichi di marmo bianco trasportati in questa chiesa dal vicino sepolcro di Co­stantina, o Costanza per testimonianza del Martinelli che ve li vide. Il Ciampini De Sacris Aedificiis a Constantino Magno constructis p. 134, dice che a’suoi giorni 5 soli se ne vedevano, cioè tre in s. A­gnese e due in s. Costanza: questi rimasero fino al declinare del secolo passato, quando furono trasporta­ti per ordine di Pio VI al museo vaticano. Nella cappella incontro, nella nave destra è un bel busto del Salvatore, scolpito dal Buonarroti. La porta principale fino al secolo XVIII era di bronzo, per te­stimonianza del Martinelli; sembra che nell’ultimo ristauro del 1725 forse rimossa, poiché la odierna è di legno.

Notossi in principio che in questo luogo era un fondo pertinente alla famiglia di Costantino, poiché Ammiano Marcellino sul principio del libro XXI dice, che Giuliano mandò in Roma per essere sepolto nel suburbano della via nomentana, il corpo di Ele­na sua moglie, dove era stata pure sepolta Costanti­na sua sorella, moglie di Gallo Cesare, e questo se­polcro, o mausolèo è quello che oggi si vede pres­so la chiesa di s. Agnese. Negli atti di s. Agnese si legge di Costanza, o Costantina, che rimanendo vergi­ne passò all’altra vita, che il suo corpo fu sepolto in un sarcofago prezioso di porfido, e che le fu e­dificata una chiesa dal padre e dai fratelli ornata di colonne e di musaico. E quantunque voglia dirsi qual­che cosa sulla schiettezza di quelli atti, non potrà ne­garsi però, che quando quelli furono scritti era fama costante e ferma che in questo luogo fosse stato eretto di pianta il mausolèo: ora nessuno certamente dirà che quelli atti siano posteriori di poco più di un se­colo alla morte di Costanza. Questo io voglio notare, perché vedendosi rappresentate nel musaico della vol­ta vendemmie ed altre cose a quelle allusive, ven­ne in capo dapprincipio di crederlo un tempio di Bacco, e questa opinione ebbe molti seguaci anche di va­glia. E sembra strano come potesse cadersi in questo errore, riflettendo che il soggetto medesimo, e collo stesso stile vedesi scolpito sul sarcofago, che niuno cer­tamente vorrà per questa ragione pretendere essere quel­lo di Bacco. D’altronde la fabbrica è tutta intiera per stile e per costruzione materiale della epoca di Costantino, e nelle parti   è tutt’altro che un tempio. Facile poi era spiegare, come in un edificio cristiano potessero trovarsi rappresentate vendemmie, pampini, uve, confrontandolo con tanti altri monumenti cristiani ne’quali questo soggetto medesimo è rappresentato. La vi­te è il simbolo di Gesù Cristo, perché egli stesso nell’evangelio si appella la vera vite: è il simbolo della sua chiesa, leggendosi nella tribuna di s. Clemente, ecclesiam christi viti similabimvs isti: è la vendemmia il simbolo della pressura di questo mondo, de’patimenti, delle penitenze ec. per non ispaziare in altre spiegazio­ni. Quindi si vede, quanto convenientemente questo simbolo fosse adottato dai cristiani primitivi, e perché si trovi in questo edificio sacro rappresentato, e perché orni particolarmente il sarcofago.La fronte di questo edificio è rettilinea, il rima­nente è circolare. Precedeva un portico formato di due colonne e due pilastri, con due nicchie ne’fianchi, e due a’lati della porta, oggi murate, contenenti statue della famiglia, e delle persone ivi sepolte. Esternamente girava intorno un corridore, del quale rimangono tracce. Internamente un peristilio di 24 colonne ac­coppiate di granito, sostiene la volta centrale, rifatta in­tieramente circa l’anno 1256 da papa Alessandro IV. Le pitture che ricorrono sotto la cupola sono moder­ne: i musaici però della volta del peristilio, sebbene più volte ed anche recentemente siano stati ristaurati, sono antichi. Dintorno al muro sono 12 nicchie regola­ri, che forse contenevano in origine le immagini degli apostoli; di tre in tre di queste apronsene quattro al­tre più grandi, due che oggi servono di porte laterali, una che è la porta principale, ed una in fondo, che conteneva il magnifico sarcofago di porfido, oggi orna­mento del museo vaticano, dove fu trasportato per or­dine di Pio VI. Nelle due nicchie grandi laterali sono musaici affatto cristiani, ma che per lo stile mostrano evidentemente una epoca molto posteriore a que’della volta del peristilio. Le colonne come in tutti gli altri edificii di quel tempo sono irregolari pel diametro, per le basi, e pe capitelli, e gli ornati sono tutti dello sti­le della massima decadenza.
Dinanzi a questo mausolèo veggonsi gli avanzi di un gran cortile oblongo che termina in curva a guisa di un circo, donde venne il nome volgare d’ Ippodromo di Costantino, con che suol designarsi. Ma oltre che ripugna la idea che in que’tempi di fervore si costruis­se un luogo di spettacoli profani fra due edificii sacri, ed entro un ritiro di vergini, è chiaro per la costru­zione, che è posteriore di molto alla era costantinia­na, e che sembra affatto simile a quella dell’apside di s. Agnese, opera di Onorio I. E per gli scavi, fattivi a’tempi del Piranesi, e più recentemente nel 1808 è positivo che fu il recinto di un campo di umazione, rimanendo ancora i loculi, sotto i muri, e nell’area, pieni di ossami. Rimangono tracce del portico, che internamente vi ricorreva, ed al quale davano lume le fenestre, che ancora ivi si veggono.

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