Marco Simone

[t.2, pp.305-311]

Volagai – Bolagai – Bolagari

Castrum s. Honesti

Tenuta dell’Agro Romano posta fralle via tiburtina e nomentana, circa 9 m. lungi da Roma, pertinente ora ai Borghese, la quale si compone di quattro distinte tenute, cioè di s. Eusebio, Marco Simone, Caputo, e Pedica Croce. Comprende rubbia 633 e mezzo divise ne’ quarti di Capalto, Pedica delle Ginestre, Fonte Massarola, s. Eusebio, Pisciarello, Marco Simone vecchio, e Pediche della Fornace, dell’Acquaviva, e del Casale. Confinano Marco Simone e Caputo con Forno Casale, Torre Rossa, Castell’ Arcione, Monte del Sorbo e Pilorotto, Casanova, Casal vecchio, col territorio e colla strada di Mentana. S. Eusebio e Pedica Croce poi col Teverone, Torre Rossa, Prato lungo e Forno Casale.

Ne’ secoli bassi questa tenuta fu nota col nome di castrum, o castellum s. Honesti, e la contrada si disse Volagai, Bolagai, Bolagari, denominazione certamente anteriore al secolo XII. come sono per mostrare, ma d’incerta etimologia. L’archivio di s. Maria in Via Lata è quello che fornisce lumi sopra questa contrada; veggansi i cod. vat. n. 8049,50. Il nome posteriore sorse nel secolo XVI.

Nel registro di Cencio Camerario inserito dal Muratori nel tomo V. delle Antiquitates Medii Aevi si legge, come Gregorio giuniore papa, cioè Gregorio II. diè in enfiteusi ad Anna religiosa, ed a due altre persone i fondi denominati Argenti, Verclanum, Lugeranum, Collivercorum, e Toleranum per due soldi di oro, ed i fondi Tuci, Trasis, Sananum, e Possessianum per 50 soldi bizantini d’oro, e che questi fondi erano parte del corpo della Massa Sabinense, e stavano sulla via tiburtina, circa il X miglio, più, o meno, formando parte del patrimonio tiburtino. Tali particolari coincidono bene in parte colla tenuta di Marco Simone, in parte coi fondi adiacenti, e forse da quella epoca deriva il dominio che sopra alcuni di essi ebbero prima il monastero delle monache di s. Ciriaco, e poscia il capitolo di s. Maria in Via Lata. L’anno 1116 si ricorda il nome di Volagai in una Carta esistente nell’archivio del monastero sovraindicato, nome che poscia più communemente Bolagai, e Bolagay, ed alle volte anche Bolagari s’ incontra in molte altre Carte di quello stesso archivio fino all’anno 1351, cioè negli anni 1168, 1179, 1191, 1201, 1204, 1209, 1226, 1230, 1234, 1259, 1262, 1264, e 1351.

Ora in quelle carte si fa menzione l’anno 1179, e l’anno 1261 della Fontana Massaroli, e Massarole, sorgente, che esiste ancora entro la tenuta di Marco e dà nome al quarto di Fonte Massarola; come pure in quella del 1262 di una terra di Capo ad Alto, e Capalto è il nome odierno di un altro quarto della stessa tenuta; per conseguenza non può rimaner dubbio sulla identità della contrada di Bolagai, o Volagai col tratto occupato da questo tenimento e da qualche parte di quelli attinenti. La sorgente Massarola formava un laghetto, il quale d’uopo è riconoscere per quello indicato col nome di Massalori, o Massalauri nella bolla di Callisto II dell’anno 1124, presso il quale era una chiesa di s. Onesto, donde trasse nome un castello, che poscia vi fu costrutto. Questo castello, che castrum s. Honesti viene chiamato nelle carte de’ tempi bassi passò per enfiteusi in mano de’ Capocci, e Giovanni Capocci nel 1287 ne vendette la metà a Gentile di s. Martino a’ Monti: Cod. Vat. n. 8048. Nel 1310 Giovanni cugino del precedente vendette pel prezzo di 1500 fiorini d’oro la sua porzione. Nel 1343 apparisce da un Atto esistente nell’archivio di s. Angelo in Pescaria e nol cod. vat. 7934, che la metà di esso era stata dalle monache in enfiteusi ai figli ed eredi di Annibale di Cave ed a Stefania sua consorte, e l’altra metà fu allora data pure in enfiteusi a Celso di Processo Capoccio de’ Capoccini. Gli eredi di Annibale di Cave venderono nel 1364 la loro porzione agli Orsini, mentre l’altra metà fu nel 1379 confermata in enfiteusi ai Capocci: Cod. Vat. 7972. Per successivi acquisti dell’anno 1422 e 1425, come si trae da Atti esistenti nell’archivio Orsino, tutto intiero questo castello di s. Onesto, ed una quarta parte delle tenute di Capo d’alto e Capo di vecchio divennero proprietà degli Orsini. Nel 1452 ne aveano di già alienata una metà, mentre l’altra metà del diroccato castello era tuttora in loro dominio: Cod. Vat. 2553. Ma poco dopo, nel 1457 era passata tutta intiera questa tenuta ai monaci di s. Paolo, che la vendettero allora per 6500 fiorini a Simone de’ Tebaldi dottore in medicina, vendita confermata da Callisto III. Gli Atti si leggono nel cod. vat. n. 8029 e nell’Archivio Capitol. Cred. XIV. tom. LI. Non è improbabile che da questo Simone avesse origine il nome attuale della tenuta, vale a dire, che chiamandosi egli secondo l’uso di que’ tempi come Magister Artium, Maestro Simone, il volgo ne fece la tenuta di Mastro Simone: e siccome in que’ dintorni fece acquisti l’anno 1527 un Marco Simone si confuse il nome di questo vicino con quello del fondo in questione, e questo nome poscia non si è più mutato. Successivamente passò in potere de’ Cesi, duchi di Acquasparta, ed i loro stemmi, le loro memorie, ed il nome del celebre duca Federico Cesi rimangono ancora nel casale, il quale fu da me visitato l’anno 1830. Rimase questa famiglia in possesso di questo fondo fino all’anno 1678, in che lo vendette ai Borghese, che ne sono i signori attuali.

Nell’esaminare questa tenuta in varie parti l’anno 1830 vidi giacente per terra presso il fontanile nel quarto denominato il Pisciarello un piedestallo di marmo con iscrizione mutila in parte e generalmente corrosa, specialmente nell prime sei linee, la quale in caratteri oblonghi, che aveano il tipo del primo periodo del secolo III. dice così:

SEr . Calpurnio Domitio

DEXTRO C M v

cos . ORD XV VIR SAc . Fac

leg . PROV ASIAE cur . r . p.

MINTVRNENSIVM . . . . .

ITEM CALENORVM CVR . V . AEM

pr . aliMENTORVM PRAET TVTEL

pontifiCI CANDIDATO

tRIVM VIRO MONETALI

cALPVRNIA . RVFRIA

AEMILIA . DOMITIA

SEVERA C . F . FILIA

PATRI . PIISSIMO

SECVNDVM VOLVNTATE EIVS

Questa medesima lapide fu poi pubblicata insieme colle altre due seguenti ivi posteriormente trovate, nel bullettino di Corrispondenza Archeologica dell’anno 1833 p.64  con note de’ ch. archeologi O. Kellermann e B. Borghesi; e meno qualche variante insignificante quella copia è concorde con questa ad eccezione delle lettere C M, iniziali di Clarae memoriae, cioè viro che si legge dopo il cognome DEXTRO, e che nel bullettino riportansi CRI quasi iniziali di un secondo cognome CRISPO, o CRISPINO, o come piace al Borghesi CRISPINIANO, o CRITONIANO; della quinta riga, che io lessi MINTVRNENSIVM ed essi MINTVRN . HISPEllatiVM; e della ottava, nella quale chiara mi apparve la sillaba CI ultima della parola Pontifici, ed essi credettero leggervi QVAESTORI. Ma è fuor di dubbio che importantissima è questa lapide, come quella, che determina bene il prenome del console Destro che fu SER, cioè Servio, e non Caio, come ne’ Fasti communemente riportasi. Giustamente poi il Borghesi in quella dottissima illustrazione notò indubitati essere i nomi suppliti di Calpurnio Domizio, appoggiandosi ad un marmo barberiniano, riportato dal Fabretti, nel quale leggonsi i nomi stessi delle femmine qui ricordate, alle quali CALPVRN . DOMITIVS . DEXTER . COS . XV . VIR . SAC . FAC . pose un monumento, ed ivi il nome di Severa sua figlia viene accompagnato dalle sigle C . F cioè clara femina.  Or dunque da questa lapide apprendiamo, che Servio Calpurnio Domizio Destro (figlio probabilmente di Caio Domizio Destro, che fu console per la seconda volta l’anno 196), uomo di chiara memoria fu console ordinario (l’anno 225) quindicemviro per le cose sacre, legato della provincia dell’Asia, curatore della republica de’ Minturnesi, de’…. ed anche de’ Caleni, curatore della via Emilia, prefetto degli alimenti, pretore della tutela, pontefice candidato, e triumviro monetale; e che a lui questo monumento forse troppo semplice fu eretto da Calpurnia Rufria Emilia Domizia Severa chiara femmina sua figlia. Probabilmente in questo luogo era una terra del defunto, dove secondo il costume commune fu a lui eretto il monumento.

Le altre due lapidi dicono, la prima:

SEX . PEDIO

SEX . F . ARN

HIRRVTO

PRAET

SEX . PEDIVS

HIRRVTVS

LVCILIVS . POLLIO

FIL . PRAET

cioè a Sesto Pedio figlio di Sesto, della tribù Arniense, Hirruto, pretore, Sesto Pedio Hirruto Lucilio Pollione suo figlio pretore pose. La seconda è ad onore del figlio di questo ed è frammentata:

SEX . PEDIO . SEX . F

ARN . HIRRVTO

LVCILIO . POLLION

COS . PRAEF . AER . MILITAR

II Q AVG IVRIDIC PICEN ET

VAL . . . PR . . .

A Sesto Pedio figlio di Sesto dell’Arniense Hirruto Lucilio Pollione console, prefetto dell’erario militare per la seconda volta, questore, augure, iuridico del Piceno e della Valeria . . . . pr . . . . Sulla interpretazione della quinta linea il Borghesi emette molti dubbi: l’anno preciso del suo consolato è incerto:il titolo di iuridico del Piceno e della Valeria lo mostra certamente non anteriore a M. Aurelio, che istituì tale officio. Queste due lapidi conducono a credere, che anche i Pedii avessero in queste parti un fondo.

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