Marciliana

[t.2, pp.302-305]

Tenimento dell’Agro Romano posseduto oggi dai Carpegna posto fuori di porta Salaria circa 8 m. lungi da Roma a destra della via salaria odierna, il quale comprende circa 940 rubbia di terra divisi ne’ quarti denominati del Casale, del Cannetaccio, di Forno Nuovo, di Tor Madonna, di Campo grande di sopra e di sotto, del Gallinaro, di Capaccio, e della Torretta: e ne’ prati detti della Vignaccia, degli Aquiloni, dell’Ara, della Lungarina, del Fontanile, dell’Ortaccio, dell’Olmo bello e Prato Scudella, delle Pantanelle delli Cioccati, e del Rimessone. Confina col Tevere, col territorio di Lamentana, e colle tenute di Massa, Fonte di Papa, s. Colomba, Inviolatella, Ciampiglia, Casal delle Donne, e Capitignano.

Il suo nome sembra derivare da un fundus Marcellianus, o praedium Marcellianum, perchè appartenente ai Marcelli, i quali essendo un ramo dei Claudii ci rammentano le terre date ai Claudii dal Senato e Popolo Romano fra Fidene e Ficulea, secondo Dionisio, tratto che in parte è compreso dentro questa tenuta. Tal nome si ricorda nella bolla di Stefano IV. pertinente all’anno 817, con che quel papa confermò i beni del monastero di Farfa, dove si legge Fundum Marcilianum: e di nuovo in una carta dell’anno 1003, nella quale si legge come un tal Belizone figlio di Palombo ricevette in enfiteusi da Ugone abbate di Farfa alias res ubi dicitur Marcilianum insieme con altri beni. Documenti sono questi che il Galletti estrasse dall’archivio di Farfa e publicò nella sua opera del Primicero p.174 e 232; ed essendo il primo di questi del principio del secolo IX darebbe forza alla mia opinione, che possa derivare tal nome dai Marcelli; ma qual Marcilianum secondo i confini, che ivi si additano, sebbene in Sabina, era molto lontano da questo tenimento, poichè era presso Gavignano, ed il rivo Galantino, ivi chiamato rivus Calentinus. Forse però di questo fondo si tratta in un documento ricordato dal Casimiro nella Storia di Araceli e pertinente ai 30 di Settembre dell’anno 985, dal quale apparisce, che Pietro abate di s. Maria de Capitolio avvertì Martino abbate di s. Cosimato in Mica Aurea di dare ad affitto il casale de’Marcelli. Mancano però, per quante ricerche io abbia fatto, notizie ne’ tempi bassi sopra questa terra. Dalle rovine esistenti a Marcigliana vecchia apparisce, che fosse uno di que’ tanti castra dell’Agro Romano.

Il casale di Marcigliana è in una situazione amenissima, posto sopra un colle alto, coperto di alberi, dominante la via salaria moderna e tutta la valle del Tevere, alla quale sulla riva opposta fanno corona i monti di Prima Porta già Rubrae. Ivi in lettere de’ buoni tempi lessi la seguente iscrizione sopra un cippo scorniciato, alto 3 p. e mezzo largo 2.

D . M

CAELIAE

GAI . FIL

SECVNDILLAE

Ivi pure notai un pezzo di architrave curvilineo, un fregio dorico, che nelle metope presentava alternativamente armi e rosoni: una bocca di pozzo di travertino, frantumi di colonne di marmo ec. indizii chiari di una fabbrica anticamente esistente nel medesimo sito.

Nella tenuta si fecero scavi lungo l’andamento della via salaria antica, presso la Bufalotta l’anno 1825 e 1826 e si trovarono avanzi di bagni del tempo degli Antonini: una lapide greca di Atticilla figlia di una madre dello stesso nome e di un padre re: un’altra latina di Elia Cecilia Filippa madre di Serio Augurino: una urnetta che contenne le ceneri di Nevia Spendusa morta di anni 30: un peso col consolato di Tiberio Claudio Augusto, e Lucio Vitellio per la terza volta, pertinente all’anno 47 della era volgare: molti frammenti di bassorilievi ed ornati di terra cotta, quattro piedi di bronzo di sostegni di un letto, che furono rinvenuti riposti entro una vettina, portanti le immagini della Vittoria, e le zampe di leone, ed un gran rhyton di marmo, ornato di pampini ed edera insieme intrecciati. Varii marchi col nome di Aproniano e Petino consoli dell’anno 123 della era volgare, ne’ tempi di Adriano sembrano dover determinare che i ruderi frai quali si fecero queste scoperte non erano anteriori a quella epoca. Altri scavi fatti nel 1833 fecero scoprire un gran pavimento di musaico bianco e nero rappresentante Tritoni e Nereidi, anche esso parte di una fabbrica destinata a bagni.

 

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