Lorium Bottaccia, Castel di Guido

[t. 2, pp. 270-276]

Castrum de Guido
Castrum Guidonis

Lorium, o Laurium, giacché in ambedue i modi tal nome si trova scritto, fu una stazione sulla via aurelia, concordemente posta, secondo Sesto Aurelio Vittore epit. C. XX, l’Itinerario di Antonino, e la carta Peutingeriana al XII. Miglio da Roma, ed è un fatto, che il XII. Miglio dalla porta gianicolense antica, che fu presso a poco dove è la porta s. Pancrazio odierna si contano circa 12 miglia al ponticello fra i casali di Bottaccia e Castel di Guido. Ivi gli antenati di Antonino Pio ebbero una villa nella quale per testimonianza di Capitolino c. I. e c. XII. Quell’ottimo augusto fu educato e morì. Egli vi edificò un palazzo, e la frequentò come fece Marco Aurelio durante la sua vita, siccome apprendiamo dalla corrispondenza di Frontone con lui: lib. I. ep. I. e III. Lib. II. Ep. XVIII. Lib. III. Ep. XX. Lib. V. ep. VII. E in quelle lettere particolarmente si nota come Lorio era luogo di diporto, o come oggi direbbesi di villeggiatura per la famiglia imperiale, e come la via aurelia, allora, come pure adesso era pel continuo salire e scendere sdrucciolevole: Feci dice Frontone nella epistola III. Del I. libro, compendium itineris Lorium usque, compendium viae lubricae, compendium clivorum arduorum. La villa imperiale attrasse in quel luogo una popolazione, che per la circostanza locale vi si mantenne, malgrado che dopo la morte di Antonino Pio non sembra che fosse la villa più frequentata, a segno, che secondo Capitolino ai suoi giorni, cioè circa il principio del IV. Secolo della era volgare, vedevansi le rovine del palazzo: ubi postea palatium extruxit cuius hodieque reliquiae manent. Onde io credo, che dopo la morte di Commodo, quando, secondo Lampridio nella sua vita c. XX. Esisteva ancora un procuratore, ossia amministratore lauriense, questa villa rimase abbandonata. Non così la Terra, che ivi si era formata, poiché, malgrado il guasto dato a questa parte dei dintorni di Roma da Alarico circa l’anno 409 per testimonianza di Rutilio Itiner. Lib. I. un vescovo vi si manteneva nel V. secolo sotto Felice III. Nominandosi Pietro vescovo di Lorio che sottoscrisse al concilio romano tenuto l’anno 487. Ma dopo quella epoca non se ne fa più menzione, e forse rimase deserta nella guerra gotica del secolo seguente.
L’anno 1824 la principessa Doria Pamphili, signora della tenuta della Bottaccia aprì uno scavo lungo la via aurelia, e nella valle che l’attraversa: lungo la strada trovò sepolcri, e fra questi fu notato, che molti sepolcri cristiani erano stati fatti sopra le rovine di sepolcri pagani, prova che continuò Lorio ad essere abitato nel IV. E V. secolo. Le rovine nella valle furono rinvenute così detrite che gli scavi non diedero alcun risultato: esse sembrarono appartenere nella parte superiore, ossia a destra della strada, a varii casini lungo la valle, demoliti però quasi fino al piantato: uno era quasi aderente alla sponda della strada prima del ponticello: due erano uno incontro all’altro sulle due sponde del fosso, un terzo di miglio più sopra; un altro casino si scoprì sotto una falda di monte dirimpetto al confluente di un fosso che sbocca nella sponda destra del principale. La fabbrica però sontuosa era sul ripiano di un colle che si vede dominare in fondo alla valle alla distanza di un miglio dal ponticello, e che sembra essere stata il praetorium. Altri scavi furono fatti nella valle medesima a sinistra della strada, ed in questa parte le fabbriche erano così dislocate, che io credo che ivi fosse il Lorium villaggio; tanto più che fra que’ ruderi molti ve ne erano del III. IV. E V. secolo della era volgare, quando già la villa degli Antonini era abbandonata; mentre i ruderi a destra della strada presentavano tutti la costruzione di laterizio e reticolato del carattere proprio del tempo degli Antonini, meno nel Praetorium, dove osservai avanzi del primo secolo dell’impero invilluppati fra quelli degli Antonini: e che appartenevano al predio originale della famiglia di Antonino Pio, nel quale fu educato, e che servì come di nucleo alla sua villa imperiale. Queste fabbriche riconoscevansi come spogliate da lungo tempo, e se si eccettuino frammenti insignificanti di lastre di marmi fini che aveano servito ai pavimenti ed ai rivestimenti de’ muri non si rinvenne altro. Fra i ruderi di Lorio stesso si trovarono musaici grossolani, che fecero ricordare la scoperta fatta ai tempi di Pio VI. ne’ dintorni appunto della tenuta di Castel di Guido entro i limiti di quella detta Porcareccio-Paola, del bel musaico della sala delle Muse del Vaticano, che rappresenta attori tragici e comici nel loro costume teatrale.

Il sito di Lorio è oggi compreso in due tenute: la prima ha nome Bottaccia per essere il casale di essa costrutto presso una botte, o ricettacolo di acqua, che serve ad un fontanile, e che forse è l’antica conserva, che serviva alla stazione. Il casale è sulla sponda sinistra della strada poco più oltre il X miglio attuale quasi XII. antico: la tenuta comprende 333 rubbia divise ne’quarti detti della Bottacciola, o Casale, della Torre, delle Streghe, e di Cecanibbio: confina con quelle di Selce, Paola, e Castel di Guido. Essa fu già del card. Alessandro Peretti, detto il card. Montalto e quindi venne in potere de’Doria-Pamfili, ai quali ancora appartiene.

L’altra dicesi di Castel di Guido, ed il casale a sinistra della via aurelia trovasi 11 miglia e mezzo lungi da Roma. Essa appartiene all’ospedale di s. Spirito, confina colle tenute di Maccarese, Castel mal nome, Fontignano, Massimilla, Massa Gallesina, Selce, Bottaccia, Buccea, Paola, e col fiume Arrone. Comprendeva rubbia 3069, delle quali 560 furono date in enfiteusi al principe Rospigliosi l’anno 1820; e questi nel 1831 redense il canone, in guisa che oggi sono ridotte a 2509, divise ne’quarti di Cecanibbio, di Torricella, Valle del Bagnatore, Cioccati vecchi, Cioccati nuovi, Valle Mancina, Olmo del Poltrone, Selce, Grotte, Chiesa, Polledrara, Olivella, Monte delli Bovi, Casale Bruciato, Colonnaccia, la Vigna, e Monte bruciato.

La denominazione di questo fondo non è recente, e dai documenti esistenti è certo che di già così nomavasi nel secolo XI. nè credo possa dichiararsi affatto improbabile una mia congettura, che avendo Guido marchese di Toscana e marito della celebre Marozza occupata la signoria di Roma l’anno 928, fondasse in questo luogo un castello, che perciò ritenne il nome di Castrum o Castellum de Guido, Guidonis, e Widonis, donde deriva il nome moderno. La prima volta, che io l’abbia incontrato è nell’atto di appodiazione di un tal Roberto a Balneo Mucino dell’anno 1073, riportato negli Annali de’Camaldolesi T. II. App. p. 251 dal quale apparisce, che quel Roberto donò in perpetuo al monastero di s. Gregorio di Roma, col consenso di Adohara sua moglie castrum, quod cognominatur de Guido, posto fuori di porta s. Pancrazio, e contemporaneamente se ne fece dare la investitura a titolo di enfiteuta col canone di 3 soldi e dieci some di legna. Vale a dire, che secondo il costume di que’tempi, per godere della immunità ecclesiastica finse di donare al monastero il fondo, e mediante la tenue corrisposta sovraindicata ne conservò l’utile dominio. I nomi normanni di Roberto e di Adohara mi fanno inclinare a credere, che fossero di que’Normanni che nel 1059 furono chiamati da Niccolò II. contra i conti di Tusculo e di Galeria, alcuni de’quali saranno restati nel paese. Il nipote di questo Roberto, che avea lo stesso nome, e che avea avuto per padre Rainuccio cedette questa enfiteusi al monastero suddetto, l’anno 1124 come si ricava dall’atto riportato negli Annali sovraindicati Tomo III. p. 319, 320 ne insegnano, che nello stesso giorno fu Castel di Guido locato, e rifiutato dai tutori e curatori di Giovanni e Stefano figli di Stefano, e Leone ed Alberto figli di Giovanni di Stefano. Sembra che poscia Giovanni figlio di Stefano lo riaccettasse, poichè si trova, che l’anno 1177 fu rinnovata a favore di Gaita sorella di Giovanni di Stefano defunto la locazione, che questi avea di Castel di Guido, e insieme con Gaita a Stefano suo figliuolo ed a Giovanni suo nipote, figlio di Benedetto. Ann. Camald. T. IV. App. p.85. Nel 1193 fu data di questo fondo la investitura a Normanno, a Giovanni suo nipote, ed a Stefano ed Alberto figli di Stefano pur Normanno, fino a terza generazione. Forse questo Stefano Normanno è lo stesso che quello Stefano figlio di Gaita ricordato di sopra. Questo atto si legge nella raccolta sovraindicata p.185. E’ chiaro da questi documenti che sul finire del secolo XII. erano enfiteuti di questo castello i Normanni, famiglia celebre, che trasse il cognome dalla nazione, donde derivava, e che fu potente ne’secoli XIII. e XIV. in queste contrade. Le bolle di papa Innocenzo IV. e di Bonifacio VIII. dell’anno 1249 e 1299 confermarono il diretto dominio di questo fondo ai monaci di s. Gregorio, siccome può vedersi nel tomo V degli Annali p.342. I Normanni però ne possedevano l’utile dominio, e nel codice vaticano 814 B. si ha la vendita che l’anno 1377 fece Stefano Normanno del diritto di caccia in questa ed in altre tenute circonvicine. Poscia dai monaci fu trasferita la enfiteusi a terza generazione a Giovanni di Stefano degli Alberteschi che era della stessa famiglia de’Normanni, ma forse di un ramo diverso da quello di Stefano sovrallodato; questi però morì senza prole maschile, onde, con atto che si conserva nell’archivio capitolino T. LXIV. n. XI. ne furono investiti l’anno 1246 i conti dell’Anguillara come discendenti per via di donne: in quell’atto il castello viene indicato come diroccato. Nel 1448 il monastero rivendicò il possesso integro e pieno di esso come si ha negli Annali T. VII. p. 325, e lo ritenne fino all’anno 1573. Dopo quella epoca fu acqistato dall’ospedale di s. Spirito, al quale come si disse appartiene.

Il Casale è posto in amena e meno insalubre situazione di altri luoghi dintorno; ma, nè esso, nè la chiesa presentano oggetto degno di particolare menzione; e del castello de’tempi bassi diroccato fin dal 1426 non appariscono neppure le rovine. Vedasi inoltre MALAGROTTA.

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