Lanuvium – Civita Lavinia

[t.2. pp.168-189]

Terra della Comarca di Roma, dipendente dal Governo di Genzano, donde è distante circa 2 miglia e mezzo, a destra della strada postale di Napoli un mezzo miglio, e 20 miglia distante da Roma, la quale appartiene con titolo di marchesato ai Cesarini, e contiene 830 abitanti. Gli astronomi Conti e Ricchebach ne hanno determinato l’anno 1824 la longitudine a 3o°. 21′. 15″. 5. e la latitudine a 41°. 40′. 25”. 0. Essa corona l’ultimo scaglione, o contrafforte della lacinia sud-est, che discende dal ciglio, o cratere del lago nemorense, ed occupa una parte dell’antica città latina di Lanuvium, la quale per analogia di pronunzia in varie lapidi antiche de’tempi imperiali si trova indicata col nome di Lanivium, come ne Fasti Trionfali capitolini si legge LAVINEIS in luogo di LANVVINEIS all’anno 415 di Roma. Quindi ne’tempi della decadenza fu detta Civitas Lanivina e nel medio evo Civitas Lavina, Civitas Labinia, e per corruzione Civita Nevina, Civita Innivina, come ne’tempi moderni Civita Lavinia, nome, col quale oggi si conosce, e cagione dell’equivoco preso da molti che la confusero colla città di Lavinio, fondata da Enea in un luogo ben diverso da questo, corrispondente con la moderna borgata di Pratica.
La posizione di Lanuvio da Strabone nel libro V. si determina, come di là dall’Aricia, a destra dell’Appia; da Appiano poi nel secondo libro delle Guerre Civili, come 150 stadi, ossia circa 19 miglia lontano da Roma. Di sopra ho notato che attualmente si contano 20 miglia da Roma a Civita Lavinia per la strada postale di Napoli; ma d’uopo è ricordarsi, che il XX miglio attuale, che s’ incontra poco dopo Genzano corrisponde al XVIII antico della via appia, per la quale si andava a Lanuvio, e che ivi si distacca a destra un diverticolo antico, pel quale dopo un miglio si perviene alle falde del colle, che domina Civita Lavinia, sul quale fu l’antico tempio di Giunone situato nell’acropoli lanuvina, quindi, come da un canto si riconosce la esattezza di Appiano, dall’altro d’uopo è riconoscere anche per questa circostanza la situazione di Lanuvio in questo luogo. D’altronde le rovine moltiplici, ed i monumenti esistenti non lasciano luogo ad alcun dubbio.
La etimologia è ignota, ma è da osservarsi, che la iniziale LA è commune a varie altre terre latine come Lavicum o Labicum, Lavinium ec. onde sembra essere la radice del nome, come la seconda parte l’aggiunto; e questo in Lanuvium avendo una grande analogia con novum, potrebbe guidare a conoscere il significato originale della parola.
Lasciando però da banda queste ricerche, perché involte in profonda oscurità, veniamo alle notizie storiche di questa città. Appiano nel luogo ricordato di sopra apertamente dichiara averla fondata Diomede trasportato su questi lidi dai flutti, dopo la distruzione di Troia: ed il culto di Giunone, che ivi osservavasi, e varii usi, erano pe’ Romani una dimostrazione positiva di questo fatto: or molto più debbono esserlo a noi che tanto più lontani siamo da que’tempi; né parmi esistere ragione di alcun peso per riguardare come favoloso l’arrivo di Diomede in queste contrade, quando era un fatto riconosciuto da tutta l’antichità, che egli avesse girato attorno alla penisola italica. Ammesso pertanto, che Lanuvio fosse fondato da Diomede, secondo le tavole di Petit Radel questo fatto può stabilirsi circa l’anno 1230 avanti la era volgare, o secondo le tavole communi circa l’anno 1282. Per la prima volta dopo la fondazione della Terra i Lanuvini compariscono nella storia, circa 700 anni dopo. In questo lungo intervallo parmi di poter congetturare, che attesa la posizione sua nell’ultimo limite del territorio latino e volsco, Lanuvio restasse indipendente, e come Ardea formasse un distretto particolare, il quale seppe conservare la sua importanza col mantenere da questa parte la bilancia frai due popoli limitrofi. I Latini specialmente, considerando, che poteva loro servire di punta entro l’agro volsco, da paralizzare la importanza di Corioli, e di Velitrae accarezzarono talmente i Lanuvini, che questi finalmente entrarono nella lega loro, allorché la potenza romana andava estendendo le sue conquiste. E come federati latini presero le armi per rimettere i Tarquinii sul trono, ed insieme cogli altri furono rotti nella battaglia del Lago Regillo. Conchiusa dopo quell’avvenimento la pace co’Romani, mantennero la loro indipendenza, poiché l’anno 298 di Roma, cioè 41 dopo quella pugna, narra Livio lib. III. c. XXIX. che M. Volscio Fictor, condannato come falso testimonio, scelse per luogo del suo esilio Lanuvio. Era però nel tempo stesso in pace co’Romani, e questo stato continuava l’anno 326 di Roma in guisa, che T. Quinzio console, secondo lo storico sovrallodato, lib. IV. c. XXVII, vi pose il campo nella guerra contro i Volsci. La vicinanza di questi nemici permanenti di Roma, e le loro insinuazioni finirono collo scuotere la fedeltà de’ Lanuvini, i quali l’anno 375 finalmente presero le armi insieme co’Volsci contro i Romani. Livio lib. VI. c. XXI, che parla di questa mossa dichiara, che anche i Lanuvini, quae fidelissima urbs fuerat, subitamente insorsero, subito exorti. L’esito infelice che ebbe pe’Volsci, quella guerra avrà portato i Lanuvini a venire ad un’accommodamento co’ Romani, nel quale si rimasero fino all’anno 417, in che come parte della lega latina si unirono co’loro confederati, onde scuotere se era possibile la supremazia, che i Romani esercitavano sopra i Latini. E in quella guerra furono gli ultimi a deporre le armi insieme cogli Aricini, co’Veliterni, e cogli Anziati, cioè l’anno 419, dopo aver sofferto una rotta decisiva sul fiume Astura, siccome narra Livio nel libro VII. Nella pace, che seguì quella guerra, i Romani, secondo lo storico soprallodato lib. VIII. C. XVI. trattarono men duramente i Lanuvini, accordarono loro la cittadinanza romana, resero loro le feste nazionali ed i riti sacri, a condizione, che il tempio, ed il luco di Giunone Sospita forse commune ai due popoli: Lanuvinis civitas data, sacraque sua reddita cum eo ut aedes, lucusque Suspitae Junonis communis Lanuvinis municipìbus cum populo romano esset. Così Lanuvio pacificamente colle proprie sue leggi municipali si resse, e solo dipendente fu da Roma nel partecipare ai pesi pubblici, come partecipe era degli onori della metropoli. L’anno 543, nella mossa di Annibale contro Roma, Fulvio Flacco mandò messi a Lanuvio, come agli altri municipii che erano lungo la via appia, perché pronte avessero le vettovaglie nelle città, e quelle, che trovavansi ne’campi, fuori di strada, le portassero sulla via, onde provvedere al suo passaggio: che raccogliessero i presidii nelle città, e ciascuna prendesse a se le redini del governo. Appiano nel libro primo delle Guerre Civili ci ha conservato la memoria, che Mario, sapendo, esser Lanuvio una delle città, che servivano di granaio per l’approvvigionamento di Roma, se ne impadronì per sorpresa, come fece pure dell’Aricia, di Anzio, e di altre città. Questa occupazione la fè soggiacere a gravi disastri, onde caduta in debolezza grande fu da Cesare colonizzata siccome afferma l’autore del trattato de Coloniis attribuito a Frontino, dal quale apparisce che era cinta di mura. Poco prima di questa deduzione di colonia, Cicerone la qualifica nel fine della orazione a favor di Murena come municipio onestissimo: e come municipio si reggeva allora ancora colle proprie sue leggi e creava il suo magistrato supremo annuale col nome di dittatore, officio di che era rivestito Milone, come apprendiamo dalla orazione detta dallo stesso oratore a favore di quel personaggio. Nel tempio lanuvino conservavansi tesori, i quali secondo Appiano nel lib. V. delle Guerre Civili furono da Ottaviano tolti, onde servirsene nella guerra contro Lucio Antonio. E nella divisione che fece delle terre, per testimonianza di Frontino sovraindicato, una parte dell’agro lanuvino fu da lui assegnata ai veterani, ed un’ altra alle vergini vestali, divisione, che poscia fu abrogata da Adriano, il quale restituì ai coloni le terre. Svetonio nella vita di Augusto c. LXXII. dice che quell’imperadore frequentava particolarmente per suo diporto fralle città prossime a Roma, Lanuvio, Preneste, Tibur ec. È stato di già notato da altri, che sebbene in origine ben diverso fosse lo stato di municipio da quello di colonia, sebbene durante la repubblica per le vicissitudini de’tempi dallo stato di municipio si passasse a quello di colonia, dopo lo stabilimento dell’impero questi due nomi si trovano sovente scambiati negli scrittori, quasi fossero fra loro indifferenti, e sinonimi: e questo avvenne appunto ai Lanuvini, che mentre da quanto si espose era almeno fin da’tempi di Giulio Cesare divenuta colonia, sotto Tiberio da Tacito Annal. lib. III. c. XLVIII. si dice municipio, e da Frontino, o chiunque pur sia l’autore del libro de Coloniis, si dice sotto Adriano, di nuovo colonia.
Lanuvio per la sua situazione e pel tempio di Giunone si era sempre sostenuta; crebbe però in splendore dopo che Antonino Pio, che vi avea avuto i natali l’anno 86 della era volgare, secondo Capitolino c. I. adottato da Adriano pervenne all’impero. Quell’ ottimo augusto, il suo figlio adottivo Marco Aurelio, e l’indegno successore di questo, Commodo, nato anche egli presso questa città, secondo Lampridio c. I, ne amarono particolarmente il soggiorno, e vi ebbero una villa magnifica, la quale nel secolo passato diè alla luce varii monumenti insigni, come il busto di Elio Cesare, quello di Annio Vero, quello di Commodo giovanetto, la statua conosciuta col nome di Zenone, il gruppo di Amore e Psiche, ec. che si ammirano nel Museo Capitolino. E Commodo per testimonianza di Lampridio nominato di sopra ebbe il nome di Ercole Romano, quod feras Lanuvii in amphitheatro occidisset: erat enim haec illi consuetudo, ut domi bestias interficeret. Egli forse vi costrusse l’anfiteatro, ed il teatro, giacché vedremo più sotto che le rovine di esso scoperte l’anno 1832 alla epoca di Commodo appartengono. Due iscrizioni riporta il Volpi nel tomo V. dal suo Latium p. 23. 25. dalle quali apparisce, che ai tempi di Alessandro Severo fu due volte curatore della repubblica de Lanuvini Caio Cesonio Macro Rufiniamo e che Ottacilla moglie di Filippo fece qualche beneficio a questa città: ed è da osservarsi in queste la ortografia Lanivium aver di già preso piede. La caduta del paganesimo portò un colpo fiero a Lanuvio, poiché, chiuso il tempio di Giunone, che era uno de’ santuarii principali del Lazio, dispersi i sacerdoti, cessate le feste, cessò ancora il concorso, e per conseguenza la sorgente principale delle ricchezze. A questa prima causa immantinente tenne dietro l’altra delle scorrerie de’barbari, che devastarono le terre, che si trovavano a destra e sinistra della via appia; e quindi quelle de’ Greci, e de’Goti nel secolo VI; de’Saraceni ne’secoli IX. e X; e de tiranni, che sorsero da tutte le parti ne’secoli susseguenti, che facendosi vicendevolmente fra loro la guerra devastavano le possessioni usurpate. Lanuvio sembra, che in qualcuna di queste scorrerie rimanesse deserta affatto, almeno fino al secolo XIII, poiché non solo non se ne incontra mai la memoria negli scrittori del tempo, e ne’documenti, ma neppure ho trovato sul luogo alcun avanzo, che possa assegnarsi all’intervallo che passò fra il secolo V. ed il secolo XIII. e questa circostanza particolarmente mi fa supporre che di poco posteriore al principio di quel secolo di devastazione, io voglio dire del V. fosse l’abbandono di questa città.
Nel fabbricato della Terra, messo da canto l’antico, ed il moderno io ravviso due sole epoche la opera saracinesca del secolo XIII, che è la più commune, e quella informe del secolo XV. Quindi io credo che nel secolo XIII. tornasse a risorgere, e che gli abitanti si annidassero sulle rovine delle antiche fabbriche, che coronavano il colle meridionale della città antica. Il Ratti nella Storia di Genzano p. 47. 48, ec. mostra, che nel secolo XIII. era del monastero di s. Lorenzo fuor delle mura, e siccome Onorio III Savelli molto fece per quel monastero, e ristaurò ed abbellì la basilica tale quale oggi si vede, quindi io credo, che a lui si debba il ripopolamento di Lanuvio, come pure il nome attuale, e questa opinione viene avvalorata dalle pretensioni, che ebbero su questa terra i Savelli nel secolo XIV. i quali sotto la condotta di Cristoforo la occuparono l’anno 1378. Veggasi il Casimiro p. 193. Un atto riportato dal Nerini nella storia di s. Alessio p. 526 appartenente all’anno 1358 è la memoria positiva più antica, che io abbia trovato di questa terra sotto il nome odierno, poiché in esso si ricorda un Cencio Palgiciae de Civitate Labiniae: e nel 1360 in un altro documento riferito dallo stesso Nerini si ricorda il tenimentum Civitatis Labinie come uno de confini del Castrum Verpose, oggi Buonriposo. Sul finire di quel secolo Bonifacio IX conservando sempre il diritto del monastero di s. Lorenzo fuor delle mura, la diè a Cecco Durabile in vicariato ad beneplacitum. Giovanni XXIII con bolla data l’anno 1410 a favore di Giovanni e Niccolò Colonna, investì questi due nobili romani del possesso del Castrun Civitatis Lavinie, ricordando sempre il dominio diretto di s. Lorenzo fuor delle mura. Veggasi il Ratti Storia di Genzano p. 124: e questa è la prima volta, che i Colonna compariscono nel dominio di questa Terra, la quale secondo la bolla sovraindicata allora apparteneva a titolo di commenda ai card. Giordano Orsini, ed Oddone Colonna, che poi fu papa Martino V. I Colonna la ritennero pacificamente fino all’anno 1436, quando per testimonianza dell’Infessura nel Diario riportato dal Muratori Rer. Italic. Script. T. III. P. II. p. 1127 fu presa dal Vitelleschi. Sul finire di quel secolo ebbe questa Terra molto a soffrire nella guerra di Sisto IV. descritta dal Nantiporto, e da un Anonimo, scrittori contemporanei inseriti dal Muratori nella raccolta sovraindicata T. III. P. II. p. 1075, 1094, 1100, ec. Da questi scrittori ricavasi, che nel 1482 fu assediata, e presa dal duca di Calabria al primo di agosto, e che tre giorni dopo fu presa anche la rocca. Partito il duca di Calabria fu occupata dal papa e data agli Orsini l’anno 1485. I Colonnesi si presentarono poco dopo sotto la terra, l’assalirono e la presero con grave strage de’loro avversarii. Essi la ritennero fino ai 19 febbraio dell’anno seguente 1486, allorché con gran strage, dopo molta fatica venne espugnata dalle genti del papa, alle quali si rese a discrezione. Da quella epoca in poi communi furono le vicende di Civita Lavinia, Genzano, ed Ardea. Rimasta la Terra ai Colonna, fu questa venduta da Marcantonio a Giuliano Cesarini l’anno 1564, e nel 1586 eretta in marchesato; ed i Cesarini, come notossi in principio ancora la ritengono.
Da Genzano poco dopo aver passato il segno milliario XXI, che appartenendo alla vecchia strada di Pio VI. corrisponde al XIX e mezzo della strada attuale, un diverticolo a destra conduce a Civita Lavinia, ossia l’antico Lanuvium. Questo diverticolo eccede di poco un mezzo miglio: la via sebbene sia tortuosa è però certamente sulle traccie di una strada antica, che andava da Lanuvio a sboccare nell’Appia presso la stazione di Sub Lanuvio, oggi s. Gennaro: dopo circa 200 passi vedesi a destra un masso di muro costrutto di scaglie di selce, fatto per reggere le terre sovrapposte, ed ivi la strada comincia leggermente a salire: diviene poco dopo la salita alquanto più sensibile, e dopo una breve spianata comincia a discendere presso ad una chiesuola, accanto alla quale è il casino già de’Bonelli, ed ora dei Dionigi. Dinanzi a questo è un cortile ornato di frammenti di sculture antiche, e di lavori moderni: frai frammenti antichi sono degni di osservazione un pezzo di statua ben panneggiata a destra della porta d’ingresso ed i bassorilievi a sinistra, rappresentanti Genii sopra delfini, altri che si battono, Bacco sdrajato, ec. Lo stato del casino mostra in generale un certo abbandono: di fronte una lapide ricorda, come l’anno 1723 Carlo Bonelli co’ suoi nipoti vi riceverono Jacopo III e Maria Clementina sua moglie. Nel portico del casino è una statua togata, posta sopra un piedestallo non suo, che ha la epigrafe seguente la quale rammenta il nome di Caio Domazio Rufo pretore:

C . DOMATIVS . C . F.

RVFVS . PR.

Questo casino è tutto fondato sopra sostruzioni antiche di muri costrutti di scaglie di selce. Sotto di esso dal canto rivolto ad oriente nell’ oliveto furono fatti scavi l’anno 1826 e si rinvennero armi di ferro di ogni genere, lancie, spade, veruti, molti utensili e la lapide seguente di marmo lesbio:

A. CASTRICIVS. MYRIO

TALENTI . F. TR. MIL.PRAEF.EQ

ET. CLASSIS . MAG . COLLEG

LVPERCOR . ET . CAPITOLINOR

ET . MERCVRIAL. ET. PA.. A….

NOR . AVENTIN . XXVI . VIR

… MONI . PER . PLVRES.

… SORTITIONIBVS .

…DIS . REDEMPTIS

Questa lapide è particolarmente importante per i molti officii che ebbe quest’Aulo Castricio, il cui padre Talento gli diè il cognome di MYRIO: ora è noto che se un Talentum valeva 1000, Myria equivaleva a 10,000; quindi sembra che questa famiglia si compiacesse de’cognomi derivanti dalle ricchezze. E questi fu tribuno militare, generale di cavalleria, ammiraglio, in Roma maestro, cioè capo del collegio de’Luperci, de’Capitolini, de’ Mercuriali palatini ed aventinensi, e XXVI viro: la ultima linea sembra doversi supplire PRAEDIS REDEMPTIS, e dimostra, perché ottenesse questo monumento. Essa probabilmente era nel vicino tempio e luco di Giunone, donde fu rotolata in questa parte. Dopo il casino, lungo la via, sulla stessa mano è una casa de’tempi bassi, che presenta un portichetto in parte murato, pel quale servironsi di rocchi di colonne antiche scanalate di ordine dorico, di pietra locale vulcanica, simile a quella, che chiamano sperone, i quali appartennero ad un portico, che or ora verrà indicato.
Dirimpetto al casino Dionigi, sulla sponda opposta della strada, entrando in predii privati veggonsi gli avanzi delle sostruzioni, che a scaglioni reggevano il ripiano sulla cima del quale sorgeva il tempio di Giunone Lanuvina. Il primo, ed il secondo muro, che fiancheggiano il colle, sono di opera incerta, ed il primo va a legarsi verso mezzodì con un fabbricato antico dello stesso lavoro, ridotto a montano e pertinente ai Dionigi. Questo edificio è addossato alla falda, e nell’interno, quantunque sia orribilmente deformato, rimangono traccie di uno stucco solidissimo dipinto a compartimenti a fondo rosso; forse questa fabbrica è parte delle abitazioni de’sacerdoti, ovvero servì di sacrario, o di archivio. Nel punto in che la sostruzione si lega con questo edificio sono gl’indizii di una porta, la quale introduceva nel ripiano fra le due sostruzioni. Dinanzi questa fabbrica poi, verso mezzodì, veggonsi le traccie di un condotto e di una conserva de’tempi della decadenza, e presso questi un muro di opera incerta. Seguendo l’andamento di questa prima sostruzione l’anno 1826 fu scoperto un nicchione, o sedile rettilineo colla iscrizione seguente incisa sul peperino: CVRIA CLODIA FIRMA in caratteri di forma non bellissima. Sembra, che in questa parte in luogo di una sostruzione si aprisse un colonnato di ordine dorico, al quale appartengono i rocchi indicati di sopra: due delle basi esistono sul luogo, ed hanno circa 4 piedi antichi di diametro maggiore. Sopra la nicchia, o sedile testé indicato, il secondo muro di sostruzione forma un angolo ottuso. Il terzo scaglione che è il più erto di tutti, e che regge il ripiano proprio del tempio, ha verso mezzodì un pezzo di muro di opera incerta, verso oriente poi la falda è retta da nicchioni di opera reticolata, e contrafforti; e sopra questo ripiano una leggera elevazione determina il sito del tempio, che come tutti gli altri templi principali del Lazio antico avea la fronte rivolta verso sud-ovest. Dinanzi ad esso è una conserva a tre aule, rette da cinque pilastri ciascuna, la quale servì per le abluzioni e per gli altri usi sacri. E circa a questo tempio, la fondazione si ascrive a Diomede fondatore di Lanuvio: gli avanzi però, che oggi se ne veggono, e che principalmente riduconsi a sostruzioni, in parte sono dal settimo secolo di Roma, in parte del primo secolo della era volgare: alla prima epoca appartengono i muri di opera incerta, alla seconda quelli di opera reticolata. Livio nel passo notato di sopra ricorda il tempio, ed il luco di Giunone Sospita, ed Eliano Storia degli Animali lib. X. C. XVI. così ne ragiona: In Lanuvio pertanto si venera un bosco sacro grande e folto, al quale è vicino il tempio di Giunone Argolide: nel bosco è una caverna grande, profonda, tana di un dragone: le vergini sacre in giorni stabiliti entrano nel luco, portando nelle mani una focaccia, e cogli occhi bendati da striscie di cuoio. Uno spirito divino le guida direttamente alla tana del dragone: esse a passo lento si avanzano e tranquillamente, e senza inciampo, come se tenessero gli occhi aperti. Che se sono vergini il dragone accoglie i nudrimenti casti, convenevoli ad un animale amico della dea; se poi nol sono, avendo egli conosciuto prima la loro contaminazione, resta senza mangiare, e le formiche trasportano fuori del loco ridotta in briccioli, così minuti quanto si possono da loro portare, la focaccia di quella che ha perduto la verginità, purgando il suolo. Si osserva dai naturali del paese questo fatto, e le vergini entrate vengono sottoposte ad esame, e quella che ha macchiato la sua verginità è punita secondo le leggi. Questo rito è descritto ancora da Properzio lib. IV. el. VIII. Continuò ad osservarsi fino ai tempi di Teodosio, e s. Prospero nel libro de Promiss. et Praed. Dei P. III, prom. XXXVIII. così ne narra la fine: Presso la città di Roma fu una spelonca, nella quale un dragone di grandezza meravigliosa, formato meccanicamente, portando in bocca una spada, cogli occhi scintillanti per le gemme, spaventevole, e terribile appariva. A questo vergini ornate di fiori, consagrate, ogni anno, in tal maniera si davano in sagrificio, che non consapevoli della cosa, portando doni, toccando un gradino della scala da cui con tutta quell’arte del diavolo pendeva il meccanismo, il colpo della spada si scaricava, onde si spargesse il sangue innocente. E questo fu in tal modo distrutto da un monaco ben conosciuto pel suo merito da Stilicone: tastando col bastone in mano ciascun gradino, come toccando quello si accorse della frode diabolica, lo saltò, e scendendo tagliò in pezzi il dragone, mostrando non essere ivi numi, che si fan colle mani. E questo passo io credo, che vada inteso in modo, che non tutte quelle vergini, che scendevano, rimanessero vittima di quell’orribile macchina, ma soltanto quelle che si trovavano colpevoli, e questo è ciò che Eliano appella esser punite secondo le leggi; e perciò Properzio disse:

Si fuerint castae redeunt in colla parentum,

Clamantque agricolae fertilis annus erit.

indizio, che tal ceremonia compievasi nella primavera, e che scopo di essa era l’ottenere fertile l’anno. La immagine della dea viene descritta da Cicerone nel primo libro de Natura Deorum c. XXIX, cuna pelle caprina, cum hasta, cum scutulo, cum calceolis repandis: e si vede così rappresentata nelle medaglie, specialmente della gente Procilia, che traeva la origine da Lanuvio, e nella bella statua della sala rotonda del Museo Vaticano. Annesso al tempio era un cenacolo: vedasi Varrone de Lingua Latina lib. IV. E Plinio lib. XXXV. C. VI. ricorda fralle pitture, antiche più di Roma, un’Atalanta ed una Elena, che vedevansi a Lanuvio, rappresentate nude, di bellissima forma, che non aveano sofferto nella ruina del tempio, e che Caligola avrebbe voluto torre, se l’intonaco lo avesse permesso. Il dire Plinio, che queste non aveano sofferto nella rovina del tempio può guidarci a conoscere, perché si trovino tanti avanzi di muri del secolo VII. di Roma fralle attuali rovine, vale a dire, che questi furono fatti precisamente dopo la rovina; della quale parla Plinio, vale a dire circa la epoca sillana, quando il tempio venne riedificato. Cicerone pure ci ha conservato la memoria, che i consoli andavano a sacrificare in questo tempio, come pure andavano a quello di Ercole a Tivoli, della Fortuna a Preneste, di Diana Nemorense ec. Veggasi la orazione Pro Murena sul fine. Circa al luco poi, questo si estese sulla pendice occidentale, dove forse qualche ricerca potrebbe portare alla scoperta del famoso antro del dragone.
Ritornando sulla via, dopo il casino Dionigi, e la casa con portichetto de’tempi bassi, scendendo sempre si giunge dinanzi la Terra, ed a destra attira l’attenzione un lungo e bizzarro fontanile, che si attribuisce al Bernini. Qui debbo notare che io credo, che la città antica comprendesse non solo il colle di Giunone, che ne era l’acropoli, ma ancora tutta la falda orientale del monte fino dal principio della discesa della strada romana, ed ancora una gran parte delle vigne ed oliveti a sinistra; altrimenti, ristretto entro i limiti della Terra odierna, Lanuvio non poteva anticamente presentare quella importanza e quella potenza da far fronte ai Romani ad una epoca così avanzata.
La Terra attuale è cinta di mura rifatte dai Colonna nel secolo XV, ed in più luoghi si mostra ancora il loro stemma. La sua pianta è quasi un quadrato difeso negli angoli da quattro torri circolari, delle quali quella che difende l’angolo orientale è più grande ed ha una torricella sovrapposta: essa dall’anonimo, che descrisse la guerra di Sisto IV. citato di sopra vien designata col nome di Rocca, allorché narra la occupazione fatta di Civita Lavinia dal duca di Calabria l’anno 1482. Entrando per la porta romana è a destra il piedestallo colla iscrizione seguente, la quale è così malmenata che d’uopo è riportarsi alla copia pubblicata dal Volpi:

C. MEVIO. C. F. DONATO

LANVINO.CONSVLI

PROCONSVLI. SICILI

. . . PROVINCIAE. P. R

. . .HONORI SI. . .

. . . PROVINCIAE

. . . SVILATIVM

. . . . . . UMBRO

. . . AELI. C. AVG.

A sinistra è un sarcofago ornato di maschere e bucranj, anche esso riportato dal Volpi, e che serve di fontana: esso presenta il lavoro del secolo III. Poco dopo incontrasi a sinistra un vicolo, e quindi, quasi dirimpetto a questo entro una osteria è un pezzo di muro di massi quadrilateri, il quale ha una direzione parallela alle mura odierne. A sinistra si apre tosto la piazza, dalla quale si gode verso oriente una veduta magnifica delle colline veliterne e della catena de’ monti lepini da Rocca Massima e Cora, fino a Terracina: la vasta pianura veliterna e pontina si spalanca tutta intiera sotto gli occhi fino al mare, presso cui vedesi torreggiare il promontorio Circèo, e più lungi il gruppo delle isole Ponzie sembra nuotare in mezzo alle onde. Su questa piazza, nel lato, che è dirimpetto alla chiesa collegiata, havvi il piedestallo colla iscrizione seguente, la quale è riportata, ma con inesattezza dal Volpi: essa fu da me trascritta con diligenza, e dice:

T. AVRELIO

AVG. LIB

APHRODISIO

PROC. AVG

A RATIONIBVS
S.P. Q.L

DEDIC Q VARINIO Q F

MAEC. LAEVIANO AED

È questa ad onore di un liberto di Antonino Pio, il quale fu gran ragioniere di quell’ imperadore, e fu eretta dal senato e popolo lanuvino, e dedicata, essendo edile Quinto Varinio Mecio Leviano, figlio di Quinto. Accanto a questa è un’altra fontana, a cui serve di vasca un gran sarcofago del terzo secolo della era volgare, in mezzo al quale è rappresentata la porta semiaperta dell’Orco con quattro figure ne’due lati, due cioè muliebri, e due virili, poste sotto edicole rette da colonne scanalate a spira: e queste quattro figure alludono probabilmente a quattro persone sepolte in questa urna, delle quali questa è certo capace. La chiesa attuale non presenta oggetto degno di particolare rilievo: essa fu edificata l’anno 1675 da Filippo Cesarini ultimo stipite di questa casa, la quale si estinse in Livia di lui nipote. Uscendo dalla piazza e proseguendo la via verso la porta della campagna, addossato al fianco della chiesa è l’altro piedestallo di statua onoraria, spezzato in due, la cui iscrizione è riportata più intiera dal Grutero p. CCCXXX. n. 3 e dal Volpi, ma meno esattamente di quello che qui si fa; essa dice così, notando in lettere minuscole le parti mancanti.

M. AVREL. AVG. LIB

AGILIO SEPTENTRIONI

PANTOMIMO. SVI

TEMPORIS PRIMO. SACERDO

TI. SYNHODI. APOLLINIS PA

RASITO. ALVMNO faustinae

aug. PROducto. AB. IMP. M

AVREL. COMMODO ANTONI

NO. PIO. FELICE AVGVSTO

ORNAMENTIS. DECVRIONAT

DECRETO. ORDINIS. EXORNATO

ET. ALLECTO. INTER. IVVENES
S. P. Q: LANIVINVS

Di fianco Di fianco nell’esemplare del Grutero si pone

. . . IDVS COMMODAS

. . . ELIANO COS

È noto che Commodo volle che col suo nome si chiamasse il mese di Agosto secondo Lampridio nella sua vita, e questo monumento n’è una prova: come pure che Eliano fu console durante il suo regno l’anno 184, e 187 della era volgare, onde ad uno di questi due anni, ed io credo piuttosto al secondo, questo piedestallo appartiene. In questa iscrizione apparisce, che Marco Aurelio Agilio Settentrione fu liberto di Commodo; che primieramente gli si fa l’elogio, come primo pantomimo del tempo suo, e siccome il monumento gli fu eretto in Lanuvio è prova che in questa città mostrò la sua bravura: in secondo luogo che fu sacerdote del sinodo di Apollo: e finalmente che il nome di Commodo fu raso e restituito con lettere di forma ineguale ne’ tempi di Settimio Severo, che rialzò le memorie di quel pessimo imperatore del quale chiamavisi fratello. Il Ficoroni nella opera sulle Maschere Sceniche c. XXI: riporta un’ altro piedestallo eretto ad onore di questo stesso M. Aurelio Agilio Settentrione in’ Preneste coi titoli di PANTOMIMO SVI TEMPORIS PRIMO, HIERONICAE SOLO IN VRBE CORONATO DIAPANTON LIB. IMP. DD. NN. SEVERI ET ANTONINI AVGG: PARASITO APOLLINIS. ARCHIERI SYNOD. IIII. VIR ec. E da questo monumento apparisce, che era di patria prenestino.
Nel resto l’interno di questa Terra presenta da ogni parte lo squallore, la rovina, la sporcizia, e l’aspetto di un castello de’ tempi bassi, con viottoli, piuttosto che strade, tortuosi, ed irregolari, ingombri di polli e di altri animali domestici.
Uscendo per la porta occidentale si ravvisa a sinistra un picciolo tratto delle mura antiche costrutte di massi parallelepipedi di pietra vulcanica, come quelle di Ardea, e costeggiando per poco le mura si giunge alla torre angolare di costruzione del secolo XV. alla quale è attaccato un anello moderno di ferro, che dai terrazzani si mostra ai creduli come quello, al quale Enea sbarcando attaccò la nave, come se Lanuvio e Lavinio fossero una stessa cosa, il mare a quella epoca giungesse fin su questa altura, e l’anello si potesse essere conservato sino a noi, supponendo antichi esso e la torre, che d’altronde sono moderni. A questa torre comincia il lato meridionale del recinto, il quale, è certamente fondato sull’antico, siccome si dimostra da un bel tratto di muro di parallelepipedi di tufa come quello testé accennato. Ivi è inserito un mascherone con vasca sotto, che un tempo servì, di fontana. Ritornando Per un momento alla porta occidentale, e seguendo l’andamento delle mura, poco prima della torre angolare settentrionale veggonsi, a traverso la costruzione del secolo XV. che li fascia, gli avanzi di un bel basamento di qualche tempio, di stile del tempo più antico, con una gola sodissima. Ivi, dappresso a quell’angolo medesimo, l’anno 1832 furono scoperti due cunei del teatro lanuvino con una gran quantità di frammenti di architettura appartenenti alla scena, e che mostravano per lo stile la era commodiana, monumento, che se si sgombrasse, sarebbe importantissimo, e produrrebbe certamente molti ritrovamenti di statue, e di altre sculture. Da ciò, che si scoprì si riconobbe che la cavea era addossata in parte al tufa stesso del monte, in parte ad un ordine di archi; e che era rivolta ad occidente, in guisa che gli spettatori godevano la veduta della spiaggia latina. Dai frammenti della costruzione parmi poter dedurre, che Commodo, che era nato a Lanuvio, e che frequentava la sua villa avita, amante come era degli spettacoli lo ergesse, ed in esso il pantomimo celebre, M. Aurelio Agilio Settentrione, del quale si è riferita di sopra la iscrizione onoraria avrà mostrato il suo talento.
Lasciando il teatro di Civita Lavinia e tornando sul ripiano presso il lato meridionale del recinto, vedesi da questo stesso distaccarsi un muro di massi quadrilateri di peperino, disposti a strati alternati, come quelli del Tabulario capitolino di Roma: parallello a questo invito di muro è un altro pezzo della stessa costruzione che si trova nello scendere per la via antica a ponte Loreto, quasi dirimpetto alla torre angolare di Civita Lavinia. Di maniera che parmi potere asserire, che l’uno e l’altro appartengano ad una fabbrica cospicua eretta circa i tempi di Silla, la quale comprendeva tutto il ripiano che è dinanzi al lato meridionale della Terra odierna.
E dirimpetto alla torre angolare meridionale comincia una via antica, che per ponte Loreto in linea retta si dirige verso il mare a Nettuno traversando il tenimento vastissimo di Campo Morto. E questa via teneva Cicerone nell’andare e tornare da Astura, siccome mostra egli stesso nelle lettere ad Attico; lib. XII. Ego hinc, ut scripsi antea, postridie idus Lanuvium, deinde postridie in Tusculano: ed altrove: Asturam veniam VIII. Kal. Iulias, vitandi enim caloris caussa Lanuvii tres horas acquieveram. Questa strada è fiancheggiata a destra da una sostruzione, la quale in alcuni luoghi conserva ancora massi di pietra albana ossia peperino, che hanno alle volte fino ad 8 piedi di lunghezza, e 3 e mezzo di altezza: e sopra questi massi rimangono avanzi di un muro di opera reticolata. Il pavimento antico è ben conservato, e dove la sostruzione sovraindicata finisce, slargasi per ricevere un’altra strada, che pure discende da Civita Lavinia, e forse antica ancor essa. La via antica scendendo il monte va leggermente torcendo, e di tratto in tratto mostra i poligoni dell’antico pavimento al loro posto. Un mezzo miglio dopo Civita Lavinia si trova la chiesa rurale della madonna delle Grazie, la quale non presenta oggetto, che meriti di essere ricordato; è però da notarsi che fin là il pavimento antico è più conservato. Dopo si trova a destra una strada che si dirige verso la mola di Fontana di Papa e verso Genzano. e circa 1 miglio distante da Civita si ha un’ altro pezzo di strada antica. Quindi un viottolo viene ad intersecare la strada: a sinistra scende al fontanile di Stragonella, a destra raggiunge la strada di Campo Morto; e di Conca. Un miglio e mezzo dopo Civita terminano le vigne: a sinistra è la contrada di Fontana Torta. Entrando ne’campi a destra 2 miglia circa dopo Civita sono gli avanzi di una villa romana della era augustana, costruita di opera reticolata, non regolare, che presenta la pianta di un quadrilungo, di circa 2000 piedi di circonferenza. Ivi si vede un muro di sostruzione con contraffarti nel lato settentrionale, e presso questo un pozzo circolare, e più oltre sul ciglio verso l’angolo boreale un nicchione, o essedra: nel ripiano poi sono due muri paralleli nella direzione da nord a sud, quadrilunghi presso il lato orientale. Ritornando sulla via, un mezzo miglio dopo si giunge a Ponte Loreto, nome che derivò da un Lauretum, o bosco di lauri, che ivi un tempo esisté: presso questo ponte a sinistra è un rudere, forse di sepolcro. Ponte Loreto è 2 miglia e mezzo distante da Civita Lavinia ha circa 40 piedi di grossezza: è alto 17: è costrutto di massi enormi di peperino alcuni de’quali hanno fino ad 8 piedi di lunghezza e 2 di altezza: ed ha 15 piedi di larghezza; perenne ma povero di acque è il rivo che vi scorre sotto, col quale il ponte per seguire l’asse della strada, non trovasi ad angolo retto, ma a sbieco: essa conserva parte del pavimento, e de’ parapetti.
Da questo ponte fino alla Torre di Campo Morto sono 5 miglia e mezzo: la strada è in linea retta, e piana; meno qualche traccia dell’antico pavimento però non offre grandi oggetti degni di memoria: al IV. miglio da Civita è a sinistra un avanzo incognito di opera incerta: da lungi veggonsi successivamente i casali di Cacalasino, Prisciano, e Lazzaria: a destra da questo punto fino alla torre di Campo Morto si costeggia la macchia di Casal della Mandria. Circa Campo Morto veggasi ciò che notai a suo luogo.

 

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