Felice Acqua, Alexandrina

[t.2, pp. 33-36]

E’ una delle acque che forniscono Roma, della quale in parte fu trattato nell’articolo ALESSANDRINA Tomo I. p. 119, dove notossi che venne condotta da Alessandro Severo per uso delle terme da lui edificate, e che fu ricondotta da Sisto V. l’anno 1585, cioè nel primo anno del suo papato.
La opera essendo vastissima, per quanto grandi fossero le idee di quel papa, ne rende più sicuri, che era stata cominciata sotto Gregorio XIII suo predecessore; infatti è noto che sotto quel papa una compagnia d’intraprendenti, fatti gli esami e le indagini necessarie propose di condurla a spese proprie in Roma fino alle Terme Diocleziane per poi venderla. Tal progetto fu approvato da Gregorio XIII; ma essendo morto quel papa,  Sisto V. salito al soglio diè compimento al lavoro, ma a proprie spese, segnandone il decreto, allorché prese possesso della Basilica Lateranense. Architetto ne fu Matteo da Castello adoperato in varii lavori da Gregorio XIII, e particolarmente a rifare il ponte allora denominato di s. Maria, ed ora Ponte Rotto. Quell’architetto non fu molto felice nelle opere da lui intraprese, e come il ponte crollò non molti anni dopo, così la livellazione dell’acqua, che dovea chiamarsi gregoriana, e che poscia fu appellata Felice, perchè Sisto V. chiamavasi Felice Peretti prima di esser papa, ancor essa mancò.
Imperciocchè egli allacciò soltanto le vene, che nascono nella tenuta di Pantano, e che formavano l’acquedotto alessandrino, unitamente ad alcune altre scaturigini, che sorgono un poco più oltre di valle Marchetta, nella contrada denominata Pantanello. Volendo però a minorazione di spese profittare presso Roma degli antichi acquedotti della Marcia, e della Claudia ne venne un difetto nel livellamento, che impedì all’acqua di scorrere, e tornò indietro. Matteo temendo il risentimento di Sisto, che gli avea fornito uomini e danari, quanti ne avea domandato, fuggì nel regno di Napoli. Il papa diè allora la cura di tale opera a Giovanni Fontana, e questi col ricercare altre sorgenti abbondanti più in alto, che potessero dare la spinta a quelle di già allacciate, ne trovò tante, che al dire del Baglioni accrebbe di più di due terzi il volume dell’acqua, e così ottenne lo scopo.
Le sorgenti più lontane raccolte da Giovanni Fontana sbucciano sotto la Terra della Colonna a destra della strada di Zagarolo, circa 15 miglia fuori di porta Maggiore. Queste unisconsi a quelle di Pantanello allacciate da Matteo da Castello, e dopo 2 miglia e mezzo entrano nel bottino maggiore di Valle Marchetta, mentre per la strada il rivo riscuote il tributo di altre scaturigini, delle quali quel suolo di lava basaltica abbonda. Un miglio dopo nel luogo denominato la Caditora si unisce questo tronco a quello delle oncie trecento venti raccolte da Urbano VIII. nella gran rifolta detta di Pantano. Quindi per la contrada denominata il Finocchio, per Torre Vergata, traversata la strada di Frascati si dirigge verso la Posticciola di Marino dopo 15 miglia di rivo sotterraneo. Di là sempre sopratterra giunge a Roma passando per Roma Vecchia, dove comincia la opera arcuata, Tor Fiscale, Porta Furba, Porta Maggiore e Porta s. Lorenzo. Presso porta Maggiore l’acquedotto è addossato alle mura della città e così continua fino a porta s. Lorenzo, dove entra in Roma, e per la villa già Peretti, poi Negroni, ed oggi Massimi arriva al gran castello dietro la fontana detta di Termini e del Mosè dopo 22 miglia di corso.
Presso porta Maggiore una parte di quest’acqua vien derivata verso il Celio, lungo l’antico acquedotto neroniano fino a s. Giovanni Laterano, e di là da s. Giovanni fino alla villa un dì Mattei, ed al giardino, o convento de’ss. Giovanni e Paolo.
La spesa di questa opera fu significante: il Cassio dice, che il primo lavoro, quello cioè eseguito da Matteo da Castello, costò 100,000 scudi compresi 25,000 dati in compenso ai Colonna pe’tagli e tasti fatti per le vene da condursi, lavoro eseguito da 2000 operai: e che i lavori, sotto la direzione del Fontana, per testimonianza di Francesco Fontana, occuparono 4000 operai. In totalità la spesa ascese a scudi 300,000.
Secondo le osservazioni fatte dal Vici l’anno 1809, e riferite da Rondelet nell’aggiunta alla sua traduzione di Frontino, quest’acquedotto forniva allora in 24 ore 1,843,200 palmi cubici di acqua, cioè 727,344 oncie, ossia 2978 quinarie antiche.

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