Algido, Cava Dell’ Aglio

Algidvm Oppidvm

Algidvs Mons

[t. 1, pp. 123-129 ]

Monte e castello sul confine del territorio de Volsci-Veliterni, e de’ Latini Tusculani, ricordati so­vente dagli antichi scrittori sì latini, che greci. La sua etimologia si trae dal freddo, algor, che ivi regna assiduamente, quindi gelido lo chiama Orazio Odar. lib. I. od. XXI.
Quaecumque aut gelido prominet Algido
come algidus per algente, e per invernale e freddo si usa da Catullo LXIII. LXX. e da Nevio presso Cicerone O­rat. XLV. e sostantivamente per freddo da Simmaco lib. III. epist. L. Algidus chiamavasi il monte, Algidum il castello fortificato che vi aveano edificato i Volsci. Il monte, come il castello furono il luogo di molti com­battimenti fra i Romani, i Volsci, e gli Equi sul finire del III e nel primo periodo del IV. secolo di Roma. Lo scoliaste di Orazio edito dal Crucquio, commen­tando quel verso della quarta ode del libro IV.
Nigrae feraci frondis in Algido:
lo mostra nell’agro tusculano: qui mons est in agro tusculano. Strabone lib. V. capo III. S. 9. 12. dice, che la via latina scavalcando il dorso tusculano ed il monte albano discende al castello di Algido, ed alla osteria di Pictae….. più indentro della catena di Tivoli e Preneste è un altro dorso, che lascia un vallone in mezzo, quello cioè verso Algi­do, dorso, che s’innalza fino al monte albano. Co­sì Tito Livio lib. III. c. XXIII. narrando la occupa­zione che fecero gli Equi della cittadella di Tusculo l’anno 297 di Roma, e come dopo un’ assedio di alcu­ni mesi dovettero arrendersi a discrezione, dice, che questi, dopo essere stati fatti passare nudi ed inermi sotto il giogo dai Tusculani, furono raggiunti dal con­sole romano Quinto Fabio Vibulano nell’Algido e spen­ti. E nel capo XXV. mostra come gli Equi, Graccho duce in lavicanum agrum, inde in tusculanum hosti­li populatione veniunt plenique praedae in Algido castra locant. E più sotto, descrivendo, come il con­sole Minucio era stato accerchiato dagli Equi nell’Algido, i Romani avendo proclamato per dittatore Lucio Quinzio Cincinnato, usciti di Roma, media nocte in Algidum perveniunt. Nella stessa guisa Dionisio lib. XI. c. III. dice, che gli Equi l’anno 307 dopo aver devastato il territorio de’Tusculani si accamparono nel­la città di Algido: […] – e capo XXIII. che i Romani disfatti dagli Equi nell’Algido si ritirarono a Tusculo. Il passo di Stra­bone notato di sopra vien confermato da Livio libro XXVI. e. IX. allorché racconta la mossa di Anniba­le contra Roma l’anno 543, dicendo che quel capita­no venendo per la via latina ( Algido Tusculum pe­tiit ) passando per Algido andò a Tusculo, dove non fu ricevuto, onde sotto Tusculo piegando a destra di­scese a Gabii. Da tutte queste testimonianze ricava­si, che il monte Algido ben distinto era dal monte Albano, quantunque appartenesse allo stesso gruppo: che era nel territorio tusculano, ma sul confine di es­so, onde spesso venne occupato dagli Equi collegati de’ Volsci: che la distanza da Roma era tale che Cincin­nato eletto dittatore, levò un esercito, e postosi in cam­mino nello stesso giorno, poté giungervi a mezza not­te: che il castello che ne traeva nome, ai tempi di Annibale, come a quelli di Augusto, e di Tiberio si trovava sull’imboccar della gola, dove la via latina di­scendeva nella pianura. Queste circostanze si riuni­scono tutte in una punta culminante, acuminata, selvo­sa, e negra, orrida; ed infame sempre pe’ latrocinii, 6 miglia a mezzodì di Rocca Priora e molto prossima al monte Artemisio. Orazio nel lib. III. Od. XXIII lo di­ce nevoso e coperto di quercie e di elci:
Nam quae nivali pascitur Algido
Devota quercus inter et ilices
Aut crescit albanis in herbis
Victima pontificum secures
Cervice tinget
.
e lib. IV. od. IV.
Duris, ut ilex tonsa bipennibus
Nigrae feraci frondis in Algido.
Horrens
lo appella Stazio nelle Selve lib. IV. §. 4.
Circa il castello, del quale si è più volte parla­to, sembra che sia avvenuto di esso ciò che di altri luoghi antichi si nota, che abbia cioè cangiato posizio­ne, e che in origine fosse sulla cima del monte, e po­scia smantellato dai Romani fosse trasportato a piè di es­so sulla via latina. Imperciocché sulla sommità del mon­te rimangono rovine imponenti di tre diversi recinti, che furono da me visitate con grave pericolo per le bande degli assassini che l’infestavano il dì 2 giugno 1825. Vi andai con una guida di Rocca Priora molto pratica di que’ boschi quasi impenetrabili, dove appe­na si traccia un sentiere. Circa 3 miglia e mezzo di­stante da Rocca Priora giunsi a piè della base di que­sto cono selvoso ed orrido, e dopo meno di una ora pervenni alla sommità aprendomi la strada frai rami e gli arbusti. Il primo recinto è sopra una rupe tagliata a picco, e di esso veggonsi soltanto le pietre sparse. Il secondo recinto è di tetraedri irregolari non commes­si a scacco, ma senza ordine, come si osserva in altre mura antichissime, a Satrico, ad Ardea ee. Il terzo recinto presenta 12 piedi di grossezza, e conserva an­cora 11 strati di pietre. Nel secondo recinto è una conserva di acqua: presso il terzo è un pozzo. Questi recinti secondo il metodo antico di fortificazione offro­no varii angoli ottusi. Secondo il costume de’ Romani nella distruzione delle città, il tempio di Diana, che era entro il terzo recinto, o la cittadella rimase illeso, e di questo cantò Orazio lib. I. od. XXI. e nel Car­men Saeculare:

Quaeque Aventinum tenet Algidumque
Quindecim Diana preces virorum
Curat; et votis puerorum amicas
Applicat aures.
Queste rovine dell’Algidum primitivo furono visitate nel secolo passato per la prima volta dallo Chaupy che ne parla nella Decouverte de la Maison de Campagne d’ Horace Tom. II p. 158. Sul monte Algido era pur venerata la Fortuna, poiché Livio lib. XXI. c. LXII. racconta che nell’anno 536 fu decretata una supplica­zione a quella dea: et supplicatio Fortunae in Algido. Sir William Gell propende a credere che il tempio sacro a questa dea sia quello circolare, le cui rovine ven­nero esaminate e disegnate da lord Beverley negli anni scorsi, dalle quali può trarsi che sorgesse sopra un podio alto, o stilobata, coronato intorno da una cornice molto particolare e sporgente in fuori: sopra questo podio piantavano le colonne, i cui piedestalli piuttosto alti stac­cavansi dalla cornice. Egli appoggia questa opinione coll’argomento di analogia che anche il tempio della Fortuna Prenestina era rotondo. Non avendo veduto questi avanzi visitati da lord Deverley mi limito a ri­ferire quello che altri hanno asserito.
Circa poi l’Algidum secondo, o de’ Romani, è chiaro per le testimonianze di Livio e di Strabone ricordate di sopra che fu all’ingresso della gola che oggi per corruzione dicesi la Cava dell’Allio in luogo di Algido, probabilmente sul monte Fiore, o sopra uno de’ colli che dominano immediatamente la gola a de­stra e sinistra. Di questo castello non rimangono avan­zi visibili, quantunque si abbiano memorie di esso come esistente fino al secolo XII. poiché nelle memorie de’conti tusculani raccolte dal Galletti, che si conservano nella Biblioteca Vaticana n. 8042. si legge come Otta­viano figlio di Alberico conte tusculano cedette nel 1064 al monastero di Monte Cassino la sua porzione della chiesa di s. Michele Arcangelo posta juxta ca­strum meum qui dicitur Alcido: e da questo documen­to apparisce che era un castrum dipendente dai conti tusculani. Lo stesso rilevasi ancora da Pandolfo Pisano nella vita di Pasquale II dicendo, che nell’andare a Fumone le genti di quel papa circa l’anno 1100, do­po essere entrate nel territorio di Tolomeo conte tu­sculano giunte ad Algido furono assalite da Tolomeo, e fatte prigioni. Veggansi i Rerum Ital. Script. To­mo III. P: I. p. 357. Nel 1164 apparisce dalla cronaca cassinense che vi esisteva ancora il monastero di s. An­gelo, che avea il soprannome di Algido. E questa è la ultima memoria che ne ho trovato. Nella celebre bolla di Gregorio II. dell’anno 715 della era volgare apparisce come l’Algido dava nome ad una massa, o cumulo di fondi che si chiamava massa algisia, e che da quel papa fu donata a s. Pietro, siccome si legge nella tavola originale affissa nel portico di quella basilica: allora era parte del patrimonio labicanense che si estendeva fin presso Anagni. La selva poi trovasi no­mata Algiaris nella storia di Malaspina lib. I. c. V. inserita dal Muratori ne’Rer. Ital. Script. T. VIII. p. 798. e seg.
Molti de’ moderni scrittori attribuiscono ad Algi­do quello che racconta Procopio Guerra Gotica lib. III. c. XXII. XXIII. In quello scrittore si legge che Totila dopo aver presa Roma l’anno 547, avendo cominciato a demolirla, dissuaso da una lettera di Belisario, condusse la maggior parte della sua oste 120 stadi, cioè 12 miglia distante da Roma verso occidente nel luogo det­to Algedone, […] ed ordinò che ivi rimanesse tranquillo, onde in nes­sun modo fosse possibile a Belisario lo uscire dalla cit­tà di Porto, […]. Ed usciti 1000 uomini da Porto, i Goti attendati in Algedone si pose­ro in imboscata ne’ villaggi intorno a Roma, dove avvenuta la zuffa ebbero la peggio; ma le genti di Be­lisario dall’altro canto, sebbene vittoriosi doverono ri­trarsi prestamente in Porto. Ad eccezione di una so­miglianza di nome, probabilmente alterato da’ copisti, tutto il resto è perfettamente in opposizione con Algido; imperciocché non 120, ma più di 160 stadi era que­sto castello distante da Roma: non ad occidente, ma ad oriente invernale: non nella direzione di Porto, ma affatto lontano e di fianco, in guisa che riderebbe citi udisse dire che un esercito si portasse sotto Rocca Prio­ra per intercettare le communicazioni, o le corrispon­denze fra Porto e Roma. D’uopo pertanto è conchiude­re, o che il nome è alterato, o che l’ […] di Pro­copio è affatto diverso da quello di tutti gli altri an­tichi scrittori. Io, propendo per la prima supposizione, e credo nascondersi in […] il nome di Alsium, nel quale però fa ostacolo la distanza di soli 120 stadii, essendo esso 210 stadii lungi da Roma; ma non è difficile che anche il numero sia alterato. Co­munque però voglia prendersi la cosa è certo che il fatto narrato da Procopio non può in modo alcuno ac­cordarsi coll’Algido di Livio, Dionisio, e Strabone. E sull’alterazione de’ nomi degli antichi scrittori, e par­ticolarmente di questo un’altra prova ne offre Diodo­ro, che narrando il fatto di Virginio lo appella in luo­go di […], nome giudicato da tutti i cri­tici corrotto.

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