Rubrae, Saxa Rubra, Ad Gallinas

[t. 3, pp. 31-41]

Lubrae, Lubre, Lobre, Prima Porta.

PRIMA PORTA, FRASSINETO.

La via flaminia dopo il terzo miglio, passato il rivo di Acqua Traversa, che siccome fu veduto a suo luogo corrisponde al Turia, o Tutia di Livio e di Silio Italico è fiancheggiata a sinistra da rupi di tufa rosso, che per lungo tratto l’accompagnano. Queste dierono alla contrada il nome di Saxa Rubra, non incognito nella storia, del quale la prima memoria appartiene all’anno di Roma 276, avanti la era volgare 477: ed è Livio, che allora lo ricorda, lib. II. e. XLIX. narrando la impresa de’ Fabii. Que’ prodi, usciti da Roma per tenere a freno i Vejenti, eransi annidati sul colle dirupato, che domina la riva destra del Cremera presso al confluente nel Tevere, dove, eransi fortificati, onde potere in tal guisa proteggere le terre romane, e dominare la valle ubertosa del Cremera posseduta dai Vejenti a segno di poter giungere colle loro scorrerie fin sotto le mura stesse di Veii. È oggi un punto fuori di controversia, che il Cremera corrisponde al rivo, che chiamano Valca, intermedio fra quello di Acqua Traversa, e quello di Prima Porta. I Vejenti incommodati sommamente in tutte le loro cose, ed infestati da questo presidio, vollero liberarsene a qualunque costo, ed invocato il soccorso degli altri cantoni etruschi loro limitrofi, da questo canto, seguendo l’andamento di quella strada, che poscia divenne via fiaminia assalirono il castello. I Fabii domandarono soccorso a Roma, come era ben naturale, e questo giunse in breve tempo. Il console Lucio Emilio destinato a tale operazione, mentre col grosso dell’esercito sboccava lungo la riva del Tevere, per la Flaminia contra i Vejenti, distaccò un’ala di cavalleria a sinistra, che scavalcando la pendice fra il confluente del Turia e quello del Cremera nel Tevere, scendendo nella valle di questo rivo assalì di fianco i Vejenti, che non ebbero campo di spiegare le loro forze, e messi in confusione doverono ritirarsi ad Saxa Rubra, dove aveano posto il campo, ed ivi domandarono la pace. Se altri indizii mancassero, questa narrazione circostanziata sarebbe sufficiente per riconoscere, che i Vejenti insieme cogli altri Etrusci eransi accampati sul ripiano, che domina la odierna stazione di Prima Porta, in guisa d’avere per prima difesa il rivo, che oggi chiamano di Prima Porta; e che di là eransi avanzati fino al Cremera, quando per lo strattagemma di Emilio furono messi in disordine; e che i dintorni di quel ripiano distinguevansi fin dalla metà del III. secolo di Roma col nome di Saxa Rubra per la circostanza sovrairdicata del tufa rosso, che ne costituisce il suolo.

Questo vien confermato da Cicerone Philipp. II. e. XXXI. nell’anno 709. di Roma, narrando che Antonio venendo per la Flaminia fermossi ad Saxa Rubra verso la X. ora del giorno, corrispondente a circa 2 ore avanti la notte, dove si trattenne in una osteria fino al far della sera, e quindi rapidamente portato da un calesso giunse incognito in sua casa in Roma. E da Tacito Histor. lib. III. c. LXXIX. rilevasi, che circa l’anno 70 dell’era volgare, cioè 144 dopo il fatto ricordato da Cicerone, un altro Antonio, cioè Antonio Primo, capitano, che avea sposato le parti di Vespasiano, e che molta parte ebbe a fargli avere l’impero, giunse a notte avanzata per la Flaminia ad Saxa Rubra, dove fu informato degli avvenimenti recenti di Roma, favorevoli a Vitellio, cioè della presa e dell’incendio del Campidoglio, e della morte di Sabino fratello di Vespasiano. Ivi accampatosi ricevè le deputazioni spedite a placarlo, fralle quali, quella delle vestali, deputazioni, che non poterono piegarlo, essendosi i soldati inferociti, onde di là, giunto al ponte Mulvio divise l’esercito in tre squadre, una che segui la riva destra del fiume, la seconda, direttamente portossi per la. Flaminia, e la terza a sinistra raggiunse per strade traverse la via salaria ed appressossi alla città dal canto della porta Collina. È da notarsi, che questa mossa diè l’ultimo crollo alle cose di Vitellio, e stabilì Vespasiano sul trono dei cesari.

Questi fatti diversi dimostrano essere la stazione di Saxa Rubra la più prossima a Roma venendo per la Flaminia, e che il locale forniva mezzi per accamparvi le truppe con vantaggio. E la circostanza della opportunità del luogo vi radunò popolazione, onde fermossi ivi una borgata, che Rubrae fu detta, e che fin dai tempi di Domiziano si ricorda da Marziale lib. IV. ep. LXIV. coll’epiteto di picciola, breves, dove descrive gli orti gianicolensi di Giulio Marziale, che godevano la veduta dei sette colli di Roma, e di tutte le terre che li circondano.

Hinc septem dominos videre montes

Et totam licet aestimare Romam

AIbanos quoque Tusculosque colles

Et quodcumque iacet sub urbe frigus

Fidenas veteres brevesque rubras

La terra ivi edificata non fece tanto presto dimenticare la denominazione primitiva della contrada, poichè si legge nella vita di Settimio Severo attribuita a Sparziano c. VIII. che quell’imperadore 30 giorni dopo la prima sua venuta in Roma lasciolla, e pervenne ad Saxa Rubra, dove insorse tumulto grave fra i suoi soldati per la formazione dell’accampamento, dove pur venne a trovarlo il fratello Geta, al quale impose di andare a governare immediatamente la provincia affidatagli. È questa una nuova dimostrazione, che il sito era adatto ed ordinariamente prescelto per porvi il campo. Una nuova prova di questo è lo scontro ivi avvenuto fra Massenzio e Costantino, il quale decise dell’impero, e della sorte di Roma. Aurelio Vittore, scrittore contemporaneo, dichiara, che Massenzio si decise finalmente ad andare ad incontrare il suo rivale da Roma fino a Saxa Rubra millia ferme novem fuori della città; ivi rinvaso disfatto, fuggendo verso Roma per passare il Tevere sul ponte di barche che avea formato vicino al ponte Mulvio, probabilmente ne’ dintorni del confluente del rivo di Acqua Traversa, rimase annegato.

Vittore nel luogo allegato determina pure la distanza di questo punto da Roma, cioè dalla porta antica sotto il Campidoglio, presso il sepolcro ancora esistente di Bibulo: millia ferme novem: e questa distanza si conferma dalla carta peutingeriana, che sulla via flaminia pone ad Rubras sei miglia distante, dopo il ponte Mulvio, che colloca al III. cioè Rubras secondo quella Carta era al IX. Così nell’Itinerario Gerosolimitano Mutatio Rubras si pone al milliare IX.

Seguendo l’andamento antico della via flaminia dalla falda del Campidoglio fino al ponte Mulvio, oggi Molle: e da questo, lungo la ripa del Tevere, dove anticamente quella via passava fino presso Tor di Quinto, dove viene a raggiungerla la strada moderna, e di là fino a Prima Porta, le IX m. antiche coincidono in quel punto, onde convien ravvisare ivi l’antica stazione di Saxa Rubra, e la borgata di Rubrae. E visitando il luogo se ne ravvisa la opportunità, e come mirabilmente traggono lume da essa i passi de’ classici sovrannotati. Tutto il suolo è composto di tufa-litoide rosso, in mezzo al quale è stata tagliata la strada: ed ivi a destra diramava la via tiberina, a sinistra una strada che per Veii raggiungeva la Cassia, nodo importante per le operazioni strategiche, e perciò più volte scelto per gli accampamenti.

La situazione, favorevole in tempi di prosperità interna per l’annodamento di una popolazione in questo luogo, nol fu certamente dopo il principio delle rovine, che coprirono questa bella parte d’Italia. Rubrae sopra una delle strade principali, che menavano a Roma, come la Flaminia, si vide particolarmente esposta all’andirivieni di tutte le orde barbariche, che vennero dal settentrione a danno di Roma dal principio del secolo V. fino al secolo IX: onde rimase deserta, e ridotta allo stato di pura stazione, come può trarsi dalla Carta Peutingeriana, e dall’Itinerario Gerosolimitano ricordato di sopra, conservando però il nome. Anche questo nel secolo XI cominciò ad alterarsi in Lubrae, e quindi in Lobre, ed in Obra, cangiando affatto il tipo, e potendo servire di norma a giudicare fino a qual punto lo stesso nome sia stato ne’ tempi bassi alterato. E perciò gli atti, che ora leggiamo del martirio de’ ss.Abbondio ed Abbondanzio avvenuto nel principio del secolo IV. sotto Diocleziano e Massimiano, e dati alla luce dal Cardulo, essendo stati compilati dopo che il nome di Rubrae avea cominciato ad essere alterato designano la città col nome di Lubrae, leggendosi ivi che giunsero legati fino alla città di Lubrae.

Molte memorie di questo fondo si conservano nelle carte de’ tempi bassi dal secolo XI, fino al XV, ma mai più non apparisce, come un villaggio, e solo come una contrada, divisa in più proprietarii, che a poco a poco unissi nel dominio, prima del monastero di s. Ciriaco, e poscia del capitolo di s. Maria in Via Lata, il cui archivio conserva la massima parte di questi documenti. Essi furono estratti dal benemerito Galletti, e possono consultarsi ne’ manoscritti vaticani 8048, 8049, ed 8050. E di queste carte la più antica rimonta all’anno 1035, in che si ricorda il fundus Lubrae: di nuovo nell’anno 1037 se ne fa menzione, allorchè si nomina una pedica di s. Giorgio in loco ubi dicitur Lubrae: ed in un’altra carta dello stesso anno, dove si parla di un oratorio di s. Lorenzo, nucleo dell’ospedale, che le monache di s. Ciriaco ivi formarono. E da quanto ho potuto raccogliere, pare, che allora soltanto cominciassero ad annodarsi le possidenze di quel monastero in questa contrada, poichè dall’altro canto leggesi nella bolla di Gregorio VII, data a favore del monastero di s. Paolo fuori delle mura l’anno 1074: confirmamus tibi fundum, qui vocatur Lubrae cum vineis et pratis cum terris sementariciis, cum pantanis et paludibus suis; prova che in genere era a quella epoca il monastero di s. Paolo principal proprietario del fondo. A misura però che le monache di s. Ciriaco andarono estendendo da questa parte i loro possedimenti; il che sembra avvenuto nel primo periodo del secolo seguente, sparisce affatto ogni ombra di dominio per parte del monastero di s. Paolo: e quelle monache edificarono presso l’oratorio, o chiesa di s. Lorenzo un ospedale, che sembra essere andato presto in rovina, poiché in una carta dell’anno 1215 si ha il documento, che un tal Simeone tavernaro dovea ristaurare queste fabbriche. E fino a quella epoca non si trova mai ricordata questa tenuta col nome attuale di Prima Porta, ma sempre con quello più o meno travisato di Lubrae. Un documento però dell’anno 1225 parla di terre poste ad Primam Portam, denominazioni che più sotto vedrassi da che ebbe origine. Si manteneva contemporaneamente la traccia del nome antico, come apparisce da una carta dell’anno 1232. E quasi a dimostrazione della identità del sito sotto i due nomi diversi leggesi in un istromento de’ 17 febbraio dell’anno 1239: ex hospitali s. Laurentii de Prima Porta…. cum illis terris quas habemus ibidem, scilicet ad Primam Portam in loco qui vocatur Lobra, etc. e se ne assegnano i confini, che stimo inutile di qui riferire. Le ultime memorie, che ho incontrato della denominazione primitiva travisata in Obra spettano agli anni 1243 e 1246: la prima ricorda ancora gli Hospitalarii s. Laurentii de Obra: e l’altra la chiesa e l’ospedale, amministrati allora da Sinibaldo arciprete di s. Maria in Aquiro, ed una pedica di terra posta in contrata Prime Porte, seu Lobre: e quella chiesa coll’ospedale annesso ricordansi di nuovo nel giudicato proferito sopra di esso l’anno 1261 nella lite insorta fra il monastero e Giovanni Buccimazza. Dopo, il nome di Lubrae si perde, e comincia ad apparire quello di Frassineto, nome di un altro tenimento vicino a quello di Prima Porta pure spettante a s. Maria in Via Lata, il quale si legge per la prima volta in una carta dell’anno 1293: si designa col nome di Frassineto, o Arnario, Vattiquattro, o Umbra, e se ne indicano, come confini il tenimentum Castellarii, il fiume, il tenimentum Hospitalis s. Spiritus, e quello di Buccimazza.

Queste due tenute di Prima Porta e Frassineto appartengono al capitolo di s. Maria in Via Lata, al quale furono assegnati i beni del monastero di s. Ciriaco. Esse sono insieme unite: Prima Porta è più vicina a Roma e la stazione postale, che le dà nome, è 7 m. e tre quarti distante dalla porta odierna. Ambedue insieme unite si estendono per rubbia 325 divise ne’ quarti detti dei Pozzali, della Marcigliana, della Colonnetta, di Malpasso, del Grottino, di Procojo Nuovo, della Casetta, e ne’ quarticcioli di s. Lorenzolo, e Solfaratella, dei quali s. Lorenzolo ricorda la chiesa, ed ospedale di s. Lorenzo di Rubrae nominato più volte di sopra, ed oggi distrutti: quello di Solfaratella poi fu l’ultimo acquisto fatto dal capitolo di s. Maria in Via Lata l’anno 1507, secondo il Martinelli Primo Trofeo della Croce p. 48, colla vendita dell’andito, ed altri fabbricati annessi, esistenti presso l’oratorio detto di s. Marziale, sotto la chiesa attuale, vendita fatta a favore del card. Fazio Santorio per 2000 ducati. Confina questo fondo colla via fíaminia e tiberina, col Tevere, e colle tenute di Malborghetto, Valchetta e Procojo Nuovo. Frassineto trasse nome da un bosco di frassini, che ivi un tempo esisteva: Prima Porta poi da un arco monumentale, che in questo luogo ornava la via flaminia, e che era in piedi ancora ai tempi di Nardini, cioè circa la metà del secolo XVII. ma, che oggi è diroccato in guisa, che se ignota ne fosse la esistenza ne’ tempi decorsi, difficilmente se ne ravviserebbero le vestigia: de’ due piè dritti il destro non conserva, che il nucleo della costruzione: il sinistro è meno distrutto ed inserito in parte ne’ fabbricati moderni: la cortina presenta uno stile analogo alle mura onoriane di Roma e perciò quest’arco deesi credere lavoro del principio del secolo V. e probabilmente eretto nella venuta di Onorio in Roma, onde assumere il consolato la sesta volta l’anno 406. della era volgare, e perciò può arguirsi essere uno di quelli, ai quali fa allusione Claudiano nel carme de VI. Consulatu Honorii v. 520.

Inde salutato libatis Tibride lymphis

Excipiunt arcus, operosaque semita vastis

Molibus, et quidquid tantae praemittitur urbi.

Nel resto questa stazione postale fu abbandonata dopo che papa Pio VI. decretò che il corso della via detta del Furlo, che è la Flaminia seguisse fino a Monterosi quello della Cassía rinnovata, e di là da Monterosi per Nepi e Civita Castellana quello dell’Amerina, per quindi raggiungere la Flaminia di là dal Tevere sotto Otricoli. Quindi la Flaminia nel primo tratto fra Roma e Ponte Felice è divenuta squallida e deserta: e squallide ed abbandonate pur sono rimaste le stazioni postali, come questa.

A destra della stazione postale di Prima Porta sul colle, che domina il Tevere, al biforcamento delle vie flamnia e tiberina, veggonsi torreggiare sostruzioni im ponenti antiche, munite di contrafforti, e costruire di opera reticolata con legamenti di parallelepipedi di tufa locale rosso: i cunei, che formano il reticolato sembrano tagliati da quelli stessi operai, che lavorarono i materiali pel mausoleo di Augusto in Roma, col quale la costruzione è perfettamente di accordo, specialmente in una certa irregolarità, che si osserva nella squadratura de’ cunei, la quale richiama il passaggio dalla opera incerta alla reticolata, ed indica il primo periodo di questo nuovo metodo di costruire derivante dall’altro.

Queste rovine per la loro costruzione, e pel sito, sul quale sorgono non lasciano dubbio ragionevole per ravvisarle un avanzo della villa eretta da Livia Augusta nell’agro veiente, e denominata ad Gallinas, e Villa Caesarum. Denominazioni sono queste, che vengono spiegate bene da ciò che riferiscono Dione, Plinio, e Svetonio. Il primo di questi scrittori lib. XLVIII. c. LII. dopo avere esposto i preparativi fatti da Ottaviano l’anno di Roma 717 contra Sesto Pompeo mostra i prodigii avvenuti, che turbarono la mente de’ Romani, e fra questi, che un’aquila lasciò cadere nel seno di Livia una gallina bianca, che portava nel becco un ramoscello di lauro ricco di bacche, e che siccome grande sembrava il portento, essa prese gran cura della gallina, e piantò il ramoscello, che radicò, e crebbe in modo da fornire poscia gli ornamenti trionfali a tutti. Essa avea di recente sposato Augusto, onde ne trasse argomento di poterlo regolare. Svetonio in Galba c. I. indica il fatto, come avvenuto nel Veientano di Livia: Liviae olim, post Augusti statim nuptias veientanum suum revisenti praetervolans aquila gallinam albam etc. concordando nel resto con quanto fu detto di sopra: aggiunge però, che, tanta pullorum soboles provenit, ut hodie quoque ea villa ad gallinas vocetur; tale vero lauretum, ut triumphaturi caesares inde laureas decerperent etc. mostrando inoltre, che si formò un boschetto di tali lauri che si andarono successivamente piantando dai trionfatori, e che si osservava illanguidire alla morte di ciascuno quello da lui piantato, e che nell’ultimo anno di Nerone, che fu l’ultimo rampollo della stirpe cesarea, tutto il boschetto s’inaridì, e quante galline ivi vivevano morirono. Lascio circa queste coincidenze di morti di principi e di estinzione della stirpe augustana coll’inaridimento de’lauri da loro piantati e colla estinzione totale del boschetto e del pollaio, tutto ciò che potè farsi dall’intrigo e dalla impostura, e solo mi attengo al fatto positivo, che la villa fu un fondo paterno di Livia, che fu nell’agro veiente, e che la denominazione ad Gallinas provenne da un accidente: dal quale pure il costume di andare a torre i lauri ne’ trionfi de’ primi cesari, ed essere cessato il costume ed il pollaio con Nerone. Plinio poi Hist. Nat. lib. XV. c. XXX. §. XL. mentre narra lo stesso fatto prodigioso descrive topograficamente il sito della villa dicendo, che quel portento avvenne in villa Caesarum fluvio Tiberi imposita iuxta nonum lapidem flaminia via, quae ob id vocatur ad Gallinas. Ora si è notato che il nono miglio antico della Flaminia coincide presso Prima Porta: ed ivi a destra è un colle, che domina immediatamente il Tevere: e su questo colle sono altissime sostruzioni di una villa della era augustana: quindi parmi non cader dubbio sul sito di quella villa famosa. Di essa dopo Nerone non ho trovato menzione particolare. Nè a me sono noti scavi fatti ne’ tempi recenti in que’ dintorni, i quali potrebbero essere ubertosissimi. Il fabbricato nobile, parmi, che fosse collocato nel tumulo, che si vede sul ripiano retto dalle sostruzioni, a settentrione di queste. Di là si gode una veduta magnifica della valle tiberina e di tutte le montagne che la coronano, onde il sito non poteva essere meglio scelto. Il Monte Mario si spiega con tutti i suoi colli di fronte verso mezzodì quasi in atto di abbracciare la città de’ sette colli. Dietro la villa antica si apre il ripiano, del quale fu più volte parlato di sopra, e che come fu detto venne considerato una posizione strategica importante da occuparsi sì da coloro che venivano contra Roma, come da quelli, che cercavano di difenderne il possesso, ed ivi par che avvenisse lo scontro decisivo fra Costantino e Massenzio, che tanto influì sulla sorte di Roma.

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