Moricone Regillum

[t.2, pp. 378-383]

Terra della Comarca nel distretto di Tivoli, sottoposta al governo di Palombara, e nello spirituale al vescovo di Sabina. Essa è distante da Roma circa 25 m. e la strada diretta per andarvi è la Nomentana fino a Grotta Marozza, cioè fino quasi al 18 m: ivi si volge a destra e per Castel Chiodato, Cretoni, e Stazzano si giunge a questa Terra: strada tracciata fino a Stazzano sopra una strada antica di communicazione fra la Salaria, e la Valeria, ossia fra Eretum, oggi Grotta Marozza e Tibur. Gli abitanti secondo la ultima statistica sono 613.

La Terra è ben situata sopra una pendice di calcaria a piè delle punte della catena di Monte Gennaro, e sembrerebbe antica per la sua posizione, ma non ho trovato in essa alcun vestigio; bensì un miglio più verso oriente sopra un’altra pendice rimangono avanzi di mura di un’antica città nel luogo denominato I Pedicati, le quali più communemente si attribuiscono ad Orvinium, città degli Aborigeni, o a Cameria città de’Prischi Latini: ma che io riconosco per quelle di Regillum città sabina, di cui più sotto terrò discorso. Moricone per la prima volta sul finire del secolo XI. si legge col nome di Mons Moreco nel Chr. Farfense presso il Muratori R. I. S. Tom. II. P. II. p. 622. Il castello però sembra essersi formato nel secolo XIII dopo che i Savelli signori di Palombara occuparono tutta questa parte del distretto di Roma: e se ne fa menzione in un atto dell’anno 1272 esistente nell’archivio di s. Spirito in Sassia e ricordato dal Galletti Primicero p. 332: essi vi edificarono il palazzo baronale, che come quello di Palombara stesso conserva ancora gli stemmi, prova del loro dominio: nel secolo XVII passò dai Savelli, come le terre vicine di Palombara e Stazzano ai Borghese, i quali ancora la ritengono. Nel rimanente Moricone non presenta oggetti degni di particolar rimarco.

Ho detto poc’anzi, che le rovine esistenti ai Pedicati appartengono piuttosto, che ad Orvinium e Cameria, all’antico Regillum. E quanto ad Orvinium che più generalmente si colloca in questo sito è da notarsi, che Dionisio d’Alicarnasso, il solo fragli scrittori antichi, che la ricorda così ne parla. lib. I. c. XIV…….

“Delle città, nelle quali primieramente gli Aborigeni abitarono, poche erano rimaste in piedi a’ tempi miei, ma la maggior parte di esse dalle guerre e da altri mali micidiali afflitte, sono rimaste deserte. ERANO NEL TERRITORIO REATINO non lungi dagli appennini, come Terenzio Varrone scrive nella opera sulle Antichità, e distanti dalla città di Roma per lo meno un giorno di viaggio: delle quali io enumererò le più illustri secondo che quello storico le descrive”. Quindi nota come Palatium e Trebula erano distanti da Rieti l’una 25 stadj presso la via Quinzia, l’altra circa 60 sopra un tumulo di giusta grandezza: e come Vesbola n’ era distante quanto Trebula, cioè 60 stadii, vicino ai monti Ceraunii: e Suna 40 da Vesbola: e Mefila 30 da Suna: e soggiunge: “quaranta stadj poi distante da Mefila era Orvinium, città illustre e grande quanto alcun’altra di quella contrada: della quale visibili sono le fondamenta delle mura, ed alcuni sepolcri antichi magnifici: e recinti di cemeterii, che si dilungano come alti tumuli: e dove è ancora una cella di tempio antico di Minerva eretta sopra la sommità della cittadella”. Dionisio pertanto stabilisce come punti fissi: che tutte quelle città che ivi nomina, fralle quali anche Orvinium, erano nel territorio reatino: che le meno distanti da Roma erano lontane un giorno almeno di cammino: che Orvinium per Mefila, Suna, e Vesbola era distante da Rieti ossia Reate 170 stadj, pari a miglia romane 21 e due ottavi: e finalmente, che Orvinium era una delle città più nobili, e conservava vestigia ragguardevoli delle mura, de’ sepolcri, e del tempio di Minerva. Rieti è distante circa 49 m. da Roma, che è quanto dire una forte giornata di viaggio: e Moricone, o piuttosto i Pedicati sono 26 m. distanti da Rieti, e poco meno, che altrettanto da Roma, stando fuori della strada diretta di Rieti, quindi non sono per alcun modo con la situazione de’ Pedicati di accordo le circostanze assegnate da Dionisio per Orvinium, poichè non è territorio reatino quello di Moricone, ma molto distante da esso, non è un giorno di distanza lontano da Roma, ma appena una mezza giornata: non è 21 m. ed un quarto distante da Rieti ma 26: non presentano le rovine de’ Pedicati l’apparenza di grandezza che Dionisio descrive in Orvinium. Il fatto è che oggi è ben stabilito dagli avanzi esistenti, che le quattro città degli Aborigeni nominate di sopra, Vesbola, Suna, Mefila, ed Orvinium erano nella valle del fiume oggi denominato Salto, nel distretto chiamato il Cicolano entro i confini del regno di Napoli. Le montagne di Nuria sono i Ceraunii di Dionisio, e senza entrare per ora nella discussione di Vesbola, Suna, e Mefila possiamo esser lieti di ritrovare le rovine di Orvinium precisamente tali, quali le descrive lo storico di Alicarnasso, in Civitella di Nesce e nel suo distretto, e sulla sponda sinistra del Salto. Imperciocchè il Martelli nativo di que’ luoghi, e che li ha particolarmente illustrati con varii scritti, e particolarmente con quello intitolato Le Antichità de’Sicoli, narra, che ivi “si vede ancora al presente, un vastissimo recinto di fabbrica ciclopica con la sua area in mezzo di figura quadrilatera, lungo palmi architettonici romani 398, e sei oncie alla parte di mezzogiorno, palmi 250 a ponente congiungendosi questi due lati ad angolo retto, palmi 260 al lato di tramontana, e 415 al lato di levante. I sepolcri nelle roccie de’ monti, eretti sui scogli de’ passeggieri nelle logore incisioni: la multiplicità di essi lungo le vie pubbliche, che guidano a Peschio Rocchiano, Valle Varia, Poggio di Valle, ed al ponte del monumento, così chiamato per un vetustissimo mausoleo, le cui basi ciclopiche ancor durano ec. l’accertano per una potente metropoli de’vetusti secoli”. In quell’area quadrilatera io credo di ravvisare quella del tempio di Minerva nell’acropoli di Orvinium, come ne’ sepolcri quelli nominati dall’Alicarnassèo, quali caratteristiche di quella città degli Aborigeni ancora superstiti a’ suoi giorni. Il Martelli attribuì quelle vestigia a Mefile, ed in questo mi sembra avere errato, poichè oltre che le rovine hanno un’analogia strettissima con quelle notate da Dionisio, la distanza da Rieti ancora vi si accorda, che è di circa 22 miglia risalendo per la riva destra il corso del Salto, analoga a quella che egli assegna fra Reate ed Orvinium.

Ciò sia detto per mostrare non potersi riconoscere Orvinium presso Moricone; quanto alla opinione, che inclina a riconoscere Cameria alli Pedicati, a suo luogo nell’art. CAMERIA si vide, dove fu quella città, cioè circa 8 m. distante da Moricone verso oriente fra Tibur, e Varia, e perciò neppur Cameria può ivi ravvisarsi. Non così può dirsi di Regillum città sabina ricordata da Dionisio lib. V. c. XL. Livio lib. II. c. XVI. e Svetonio in Tiberio c. I. scrittori, che concordemente dichiarano, che fu una città de’ Sabini, dalla quale Atta Clauso, dai Romani detto Appio Claudio, stipite della gente Claudia, trasmigrò in Roma, poco dopo la epulsione dei re, cioè l’anno 252 di Roma, insieme con una gran turba di parenti, amici, e clienti, calcolati a circa 5000 atti alle armi, rinforzo utilissimo a Roma in que’primordii della libertà, onde per dimostrare la gratitudine a quel condottiero i Romani concedettero ai Claudii tutte le terre fra Fidene e Ficulea, e di loro formarono una nuova tribù rustica, che perciò Tribus Claudia fu detta. Ora quella città di Regillum era fra le sabine una delle più vicine a Roma: e siccome tre sole da questa parte se ne ricordano dagli antichi scrittori, cioè la notata Regillum, Eretum, e Cures: e di queste il sito di Eretum è determinato a Grotta Marozza, e quello di Cures presso Arci; ne siegue, che, non esistendo altre rovine di una città entro i confini sabini da questa parte, se non quelle presso Moricone alli Pedicati, d’ uopo è ravvisare in esse gli avanzi dell’ antico Regillum. Di questa città dopo il fatto di Appio Claudio non si fa ulteriore menzione, e da essa ebbe origine il cognome di Regillensis, che assunse il ramo principale di questa famiglia ricordato ne’ fasti, ed insensibilmente abbandonato, dopo che ne assunse altri, da altre circostanze introdotti.

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