Galeria

[t.2, pp. 92-101]

Galera

Una delle tribù rustiche romane fu la Galeria, ricordata da Livio lib. XXVII. c. VI, da Plinio e nelle iscrizioni sovente, come può vedersi in Panvinio Civitas Romana, in Grutero p. CDVI n. 9. CDXVIII. n. 7. CDXXXI. n. 1. ec. La sua etimologia è incerta: alcuni trar la vorrebbero dal fiume Galeso, che essendo nell’ agro tarentino, sebbene sia stato celebrato da Virgilio Grorg. lib. IV. v. 126 per la feracità delle terre, che bagna, da Orazio lib. II. od. X, e da Marziale lib. XII. epigr. LXIV, per la morbidezza e la candidezza delle lane delle pecore, che pascolavano sulle sue rive e ne beveano l’acqua, nulladimeno è troppo distante da Roma per aver dato nome ad una delle tribù rustiche di Servio Tullio. A me sembra più probabile e più naturale, che il rivo Galera, che traversa una gran parte dell’ agro veiente conquistato da Anco Marzio quarto re di Roma, e che nasce sotto Cesano, ed influisce nel Tevere presso alla stazione, perciò denominata ponte Galera 9 m. e mezzo circa fuori di porta Portese, desse nome alla tribù, come quello che era il più considerabile frai rivi che bagnavano le terre di quel distretto. Né si creda già che il nome di quel fiume sia recente, e che derivi, come qualche moderno scrittore balordamente asserì, dalle galere, che rimontavano il Tevere fino al suo confluente, ai tempi di Sisto V; imperciocchè se ne ha memoria fin dall’ anno 1019 nel privilegio di papa Benedetto VIII. a favore del vescovo portuense, riportato dall’ Ughelli Italia Sacra T. I. in quello di Giovanni XIX a favore del vescovo di Selva Candida dell’ anno 1026, di Benedetto IX del 1033; e nella conferma del privilegio del vescovo di Porto del 1049, fatta da Leone IX, documenti che si leggono nel sovrallodato Ughelli, nella bolla dello stesso papa data l’ anno 1053, edita nel Bullar. Vat. T. I. ec. sempre appunto come confine di varii fondi della contrada, tanto nella parte superiore, quanto nella inferiore del suo corso.
Ora, come ne’tempi più antichi il rivo diè nome alla tribù, così circa l’ anno 780 della era volgare lo diede ad una Domus – culta, o colonia, che per testimonianza di Anastasio Bibliotecario papa Adriano I. fondò sulla via aurelia (dee leggersi Cornelia ) circa 10 miglia lungi da Roma presso s. Rufina, e ad un’ altra dello stesso nome che quel papa fondò sulla via portuense, circa 12 m. lontano da Roma, in maniera che due Domus cultae di questo nome vi furono, dette ciascuna Galeria, una sulla via cornelia, e l’ altra sulla portuense. Ho notato doversi leggere in luogo di Aurelia, Cornelia, quanto alla prima, perché s. Rufina stà sulla Cornelia, oggi strada di Boccèa, e non sull’Aurelia, oggi strada di Civita – Vecchia: che è quanto dire, che il trascrittore di Anastasio mise un nome per l’altro. Qui poi aggiungerò, che la Galeria sulla via portuense corrisponde presso la odierna stazione di ponte Galera sulla strada moderna di Fiumicino, la quale, se oggi si trova soltanto 9 miglia e mezzo fuori della porta Portese, anticamente era circa al duodecimo miglio a destra della via portuense. La differenza della distanza nasce dalla direzione diversa delle strade, poiché la strada moderna è più incommoda dell’ antica, ma più breve, giacché scavalca 5 colline, mentre l’antica andando lungo il Tevere seguiva il lembo di queste medesime colline, e perciò, sebbene più commoda, era considerabilmente più lunga.
Di queste due Domus cultae, la Galeria della via portuense era nell’ anno 1019 una curtis contenente una chiesa di s. Maria, varii fabbricati, un ponte, che è l’odierno, detto ponte Galera, sebbene più volte rifabbricato, ed un villaggio, vicus, ed in tale stato fu confermata da papa Benedetto VIII. al vescovo portuense Benedetto de Pontio, con una bolla, ricordata di sopra e riferita dall’ Ughelli T. I. Andò però sempre decadendo, poiché nel privilegio di Leone IX a favore di Giovanni vescovo portuense si ricorda col nome di curtis, ma senza menzionare più il villaggio. Veggasi l’Ughelli l. n.
E dopo non trovandosene altra memoria ne privilegii posteriori è d’ uopo dire che rimanesse affatto deserta. Molto diverso fu il fato dell’ altra Galeria, la quale andò successivamente crescendo, ma dal sito suo primitivo venne traslocata sopra di un colle dirupato ed isolato un miglio a sinistra della via claudia, oggi strada di Bracciano, 15 miglia distante da Roma sulla sponda sinistra del fiume Arrone che le scorre sotto. Questa era di già un castello, castellum molto considerabile, e feudo imperiale col comes suo particolare l’anno 1033, siccome si trae dalla bolla di Benedetto IX a favore de’ vescovi di S. Rufina, o Selva Candida riferita dall’ Ughelli, nella quale si ricorda una chiesa di s. Nicola, che è quella dell’ arcipretura, che si dice in quel documento dedicata e consacrata dal vescovo Pietro, al quale la bolla è diretta, ed una pieve di S. Gregorio. E perché siamo certi che di questa Galeria si tratta, nella bolla poco posteriore a questa, di papa Leone IX. riportata nel Bullarium Vaticanum T. I. e pertinente al 1053, si nomina il fiume Arrone, come esistente in territorio Galeriae, territorio di che si fà poscia successivamente menzione nelle bolle di Adriano IV. del 1158, di Urbano III del 1186, e d’ Innocenzo III. del 1205.
Si é notato poc’anzi che Galeria avea fino dal secolo XI. i suoi conti imperiali: infatti il Marini Papiri Diplomatici n. XLV mostra, come nel 1027 era conte di Galeria Giovanni Tocco, il quale fu presente al sinodo tenuto in Roma da papa Giovanni XIX per giudicare alcune vertenze, che esistevano fra il clero delle chiese di s. Niccolò e di s. Andrea; ed in quel documento si mostra che in quel luogo vi era una popolazione notabile. A costui, o immediatamente, o poco dopo successe un Gerardo, il quale avendo favorito la elezione di papa Benedetto X, l’ anno 1058 insieme col conte di Tusculo Gregorio di Alberico, e con altri potenti romani, si vide esposto nell’ anno seguente al risentimento del papa Niccolò II, eletto in vece di Benedetto: imperciocchè quel papa per testimonianza del card. di Arogona, nella sua vita inserita dal Muratori ne’ Rerum Italicarum Script, T. III. P. I. p. 301. si rivolse ai Normanni che si erano impadroniti del regno di Napoli; i quali raccolta una oste poderosa, traversando la Campagna, invasero e devastarono i territorii di Palestrina, Tusculo, e Nomentana, come terre ostili al papa, e passato il Tevere dierono il guasto a Galeria ed a tutti gli altri castelli del conte Gerardo, fino a Sutri. Ecco le parole di quel biografo, che descrivono questa scorreria: Normanni vero ad ipsius commonitionem, collecto exercitu subsequuti sunt eius vestigia et transeuntes Campaniam, Praenestinorum ac Tusculanorum et Numentanorum terras hostiliter invadentes, eis tamquam contumacibus et domino suo rebellantibus damna gravissima intulerunt. Deinde fluvium Tiberis cum immensa militia, et fortitudine armatorum, peditum et sagittariorum copiosa multitudine transeuntes, Galeram et universa comitis Gerhardi castella usque ad Sutrium devastavunt.
Soggiunge, come, dopo molti mali di questa natura, pervenne a domare la caparbietà, de’ magnati di Roma ed a liberar la città dalla loro tirannia e rimettere così la Chiesa in potere de’ suoi stati. Pertanto è da credersi che allora Galeria, per qualche tempo restasse direttamente in potere de’ papi in guisa che Gregorio VII, la concesse insieme co’coloni ai monaci di s. Paolo l’anno 1074, siccome si trae dalla bolla de’privilegii data da lui a favore di quel monastero, riportata nel secondo volume del Bullarium Cassinense del Margarini, nella quale però in luogo di Galeriam, come è nell’originale, si legge Gallasianam.
I conti di Galera però non abbandonarono così facilmente le loro pretensioni, ed il Galletti nella dissertazione sopra Capena riporta su tal proposito un documento molto importante, il quale spetta all’anno 1139. Da questo apparisce, che il Castrum Galeriae era stato occupato dal conte di Galeria, che io credo Benedetto, di cui fa menzione una carta dell’ archivio di s. Maria Nuova, dell’anno 1154, il quale, come un detentore ingiusto fu denunziato nel concilio lateranense tenuto in quello stesso anno 1139. da Azzone abbate di s. Paolo. Malgrado questo passo i conti tennero saldo, ed i monaci sembrano avere, o abbandonato i loro reclami, o fatto qualche accommodamento, poiché Innocenzo III confermando tutti i beni al monastero di s. Paolo con una bolla del 1205 riportata dal Margarini nel tomo primo, di questo fondo non fa menzione. Due documenti esistenti nell’archivio di S. Maria Nuova Tom. I. ed Invent. fol. 32. sono una prova ulteriore, che questo castello durante il secolo XII. continuasse ad essere posseduto dai conti che ne traevano il nome. Possedeva quella chiesa una massa detta Careia, la stessa che dava nome alla stazione ad Careias menzionata da Frontino, e dagl’Itinerarii antichi, come esistente circa 14. miglia lungi da Roma sulla via claudia. Ora questa massa venne occupata sul principio del XII. secolo dai conti di Galeria, riguardandola probabilmente come dipendenza di questo castello: i canonici però ricorsero a papa Callisto II, che la fè loro restituire nel 1119, malgrado che i monaci di s. Sabba pretendessero, che apparteneva a loro. Conoscendo però i conti di Galera la importanza di questa massa cercarono ad ogni modo di averla, onde nel 1154 la ottennero dai canonici suddetti in enfiteusi, e l’atto fu fatto a nome di Guido figlio del defunto conte Benedetto, di cui sì è parlato di sopra, dai suoi curatori. I confini assegnati a quella massa sono il corso dell’Arrone, la via claudia, il corso della Galeria, ed i territorii di Cesano, e di Anguillara. Quindi si riconosce che tutta intiera giaceva a destra della Claudia fra le miglia 12 e 14, o per meglio dire fra il casale Nuovo e la Osteria Nuova, Cesano ed Anguillara.
Questa enfiteusi fu confermata ai conti di Galera nel 1226, ultimo periodo della loro dominazione in questa parte. Imperciocchè poco dopo troviamo in possesso di Galera gli Orsini, che ne riconoscevano l’utile dominio del monastero di s. Sabba, che ne avea il diretto; quindi io credo, che estinguendosi la famiglia, o per donazione, o per altro titolo, il monastero di s. Sabba di già proprietario di altre terre ne’dintorni ne ottenesse il dominio. Dal Galletti nella dissertazione sovraindicata di Capena apprendiamo che fin dall’anno 1246 n’era signore Matteo Rosso Orsini, senatore di Roma, sempre però dipendente pel dominio diretto da s. Sabba. Nel 1267 il suo figliuolo Napoleone donò a Giovanni cardinale diacono di s. Nicola in Carcere, suo fratello la quarta parte del castello e della rocca di Galera, come si trae da un documento esistente nell’ archivio della Basilica Vaticana Caps. 61. fol. 225. Bertoldo e Raimondo Orsini ebbero da s. Sabba la investitura delle tre parti del castello di Galera l’anno 1276, siccome si ha da un documento esistente nell’archivio di quella Casa, investitura che si trova rinnovata nel 1337 a favore di Giovanni, Napoleone e Giordano Orsini, siccome ricavasi dal cod. vat. 7997. Bonifacio IX. nel 1393 restrinse il canone di questa investitura a tre libre di cera: veggasi la pergamena n. 565 nell’archivio Orsini ed i mss. vat. 7926, e 7997. Continuò sotto gli Orsini durante il secolo XV: e nel 1485 a dì 20 di luglio fu saccheggiata dai Colonnesi, siccome leggesi in un diario contemporaneo inserito dal Muratori Rerum Italic. Scripe. T. III. P. II. p. 1 195. Frattanto è da notarsi che a quella epoca era un castello considerabile, poiché nell’avvicinarsi del Fortebraccio a Roma, Galera fu tassata di mandare 20 uomini armati a Bracciano. Così nel 1536 ai 18 di aprile diè alloggio all’imperadore Carlo V. reduce da Roma. Allorché Pio IV. nel 1570 eresse in ducato Bracciano vi comprese anche Galera. Veggasi la memoria di A. Coppi negli Atti dell’Acc. di Archeologia, T. VII. il quale ha raccolto uno stato della sua popolazione, che nel 1636 giungeva a 300 abitanti, nel 1660 a 170, nel 1667 a 130, nel 1700 a 150, e nel 1809 dopo essere andata sempre cadendo rimase affatto deserta. Gli Orsini essendo gravati da debiti alienarono Galera l’anno 1670 con facoltà di papa Clemente X. e da quel tempo non fu più soggetta a feudo.
La via per andare a Galera diverge a sinistra della Claudia circa le miglia 15 e mezzo; subito dopo aver passato sopra un ponte il fosso denominato Rosciolo, influente dell’Arrone, nel quale cade prima di giungere a Galera. La strada scende fra colli dirupati vestiti di alberi e di vigorosa vegetazione ad un ponte circa un miglio dopo il diverticolo: nel giungere a questo ponte sono a destra le rovine di una casa, a sinistra quelle della chiesa di s. Maria degli Angeli che era in rovina fin dal principio del secolo passato, come si ha dal Piazza. Il sito del ponte è pittoresco e romantico: il fiume Arrone, che passa sotto di esso e lambisce il lato occidentale della rupe, sulla quale sorge il castello, forma in questo luogo una picciola caduta che col suo romorìo ravviva alquanto lo stato solingo del luogo.
Appena passato il ponte la strada volgendo a sinistra sale pian piano ad una porta, sulla quale sono ancora le arme di casa orsina: dopo questa prima porta seguitando a salire, volge a destra, dove trovasi una seconda porta, e finalmente una terza dà ingresso alla terra, la quale non è accessibile, e con molta difficoltà, se non da questo lato che è quello rivolto a settentrione.
Sorge la terra sopra un colle di tufa vulcanico tagliato a picco da tutte le parti, e di forma rettangolare coi lati rivolti ai quattro punti cardinali: le mura che la cingevano presentano due epoche diverse: la parte più antica, che è quella più prossima al suolo è di massi squadrati di tufa locale, ma di picciola mole, e ricordano la costruzione del secolo XI: sopra questa costruzione se ne alza un’altra tutta irregolare e propria del secolo XV: e queste mura ricorrono sul ciglio della rupe. Le case sono generalmente di opera saracinesca del secolo XIII. e sembrano essere state rifatte dopo che gli Orsini divennero signori della terra: esse però sono tutte abbandonate e in rovina, abitate da rettili, e coperte di erba e di arbusti: alcune hanno fenestre gotiche, altre sembrano essere state ristaurate sul principio di questo secolo, e fra pochi anni la intiera terra presenterà l’aspetto di un ammasso di rovine. La piazza è presso l’angolo occidentale: ivi è la chiesa arcipresbiteriale dedicata a s. Nicola, la quale conserva alcune parti, la cui costruzione essendo opera del secolo V. dimostra che fin da quel tempo vi era una popolazione in questo luogo: ed infatti esso è tale che sembra impossibile che sia stato trascurato dagli antichi, e forse fu uno degli oppidi de’Vejenti: alcune grandi pietre quadrate impiegate ne’muri di una delle case della ultima strada verso occidente avvalorano questa congettura. Ai lati della porta moderna della chiesa sovraindicata sono due are sepolcrali di marmo tolte forse dalla vicina via Claudia: quella a sinistra manca d’iscrizione come quella che è stata cancellata e conserva il loculo per le ceneri: sopra quella a destra si legge la epigrafe seguente:

CERCENIAE

TRYPHERAE

MATRI OPTIMAE

T FL CERCENIANVS

I caratteri sono di buona forma, ed il nome di Tito Flavio Cerceniano mostra che fu di poco posteriore al regno de’ Flavii, essendo quello un figlio di qualche liberto di Vespasiano, di Tito, o di Domiziano.

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