Empulum, Ampiglione

[t. 2, pp. 5-12]

Apollonii, Castrum Apolloni, Castrum Apollonense, Castrum Apollonium

Livio lib. VII. e. XVIII. dice che l’anno 400 di. Roma 35 dopo essere stata ricuperata la città sopra i Galli fu preso ai Tiburtini Empulum con un combattimento, che non meritava di essere rammentato, sia che ambedue i consoli ivi facessero la guerra contro i Tiburti, sia che il solo Marco Valerio Publicola guidasse contra loro le sue legioni. E questa è la sola memoria, che ci rimanga di questa terra dipendente da Tibur, il cui nome potè derivare dal pelasgico PVLE pule porta dalla circostanza locale siccome più sotto vedrassi.
Una volta preso, e probabilmente distrutto dai Romani, questo castello fornì ne’tempi susseguenti luogo per costruire ville magnifiche, siccome più sotto mostrerò, le quali unite insieme, nel secolo VI della era volgare costituirono una massa che fu detta di Apollonio dal nome del proprietario originale, dal quale passò in retaggio a s. Silvia madre di s. Gregorio. Questi, come si trae dalla bolla data l’anno 594 a favore de’monaci sublacensi la concesse, come parte della sua eredità col consenso della madre a quel monastero. Dopo l’atto di tal donazione queste terre più non si ricordano fino all’anno 958, allorchè papa Giovanni XII, confermando i beni del monastero sublacense con bolla diretta all’abbate Leone riportata dal Muratori nelle Ant. Med. Aevi T. V.p.461. nomina Massam Apolloni, origine del nome odierno Ampiglione, che ha la contrada, e tutti i fondi che allora la componevano, cioè la chiesa di s. Martino, fundum Paternum, quod appellatur Pentima, f. Bruvano, f. s. Pamphili, f. Danieli, f. Merulana, f. Paccano, f. Tospoliano cum ecclesia S. Mariae et S. Lucentii, f. S. Cirici, f. Cispa, f. Romani cum ecclesia s. Angeli et s. Felicis. Ed assegna per confini di essa il fiume Tiburtino ( l’Aniene ), Papi, l’Arco fulgurato, e pel monte de’cipressi scendendo ed andando nel monte Bulturella fino alla chiesa di s. Maria, e per essa scendendo direttamente a Pisciano. Così che nel 958 questa massa di fondi comprendeva tutto il tratto che è circoscritto dall’Aniene, dagli acquedotti della valle degli Arci, dal monte di S. Maria Nuova, dal monte Mentorella, Pisciano, il Serrone, e l’Aniene, chiudendo dentro le terre oggi denominate Castel Madama, Cerreto, Siciliano, Sambuci e Saracinesco. Sul declinare dello stesso secolo queste terre furono occupate da Crescenzio nomentano, come può vedersi all’art. CASTEL MADAMA, col quale ebbero sorte comune.
Dal Chronicon Sublacense riportato nel tomo IV. delle Antiq. Medii Aevi del Muratori, p. 1047 ricavasi, che avendo i monaci ricuperata questa, come altre terre dai discendenti di Crescenzio, circa l’anno 1090 l’abbate Giovanni assegnò sub anathematis vinculo, castellum, quod s. Gregorius dedit Apollonium, totum pro vestimentis et calceamentis fratrum, e questa è la prima memoria della esistenza del castello, il quale dee credersi eretto nel secolo XI. Nella bolla di Pasquale II a favore del monastero di Subiaco data l’anno 1115, venne confermato il possesso del Castrum Apolloni a quel monastero, siccome si legge nel Chronicon p. 1059. Ma poco dopo essendo abbate di Subiaco Pietro, e papa Callisto II, circa l’anno 1124 insorsero da tutte le parti guerre contro il monastero, e specialmente dal canto de’Tiburtini, i quali come più potenti s’impadronirono della metà del castello di S. Angelo, oggi Castel Madama, che apparteneva ai monaci. E cominciarono tosto ad assalire il Castrum Apollonensem, essendo papa Onorio II, il quale prestò il suo consenso, perché i Tiburtini unitisi con Gregorio signore di Anticoli lo attaccassero con maggior forza, e se ne impadronissero nella stagione della messe. Allora furono fatti prigioni tutti gli abitanti, e poco dopo vennero distrutte le mura del castello. Veggasi il Chron. sovraindicato p. 1051. Salito però al soglio pontificio papa Innocenzo II, ricuperò Ampiglione e Buberano, ossia Barbarano, ed insistendo i monaci per la ricupera di questo castello, quantunque distrutto, il papa l’anno 1143 nella ultima sua malattia, ordinò che fosse loro restituito, Chr. p. 1052. Sotto Eugenio III nel 1150, Simone abbate lo diede in pegno ai Romani, siccome si narra nel Chr: p. 1053. Circa il declinare del secolo seguente venne in potere degli Orsini, che riedificarono le mura; e ripopolarono la terra; ma insorta guerra fra questi, ed i Tiburtini, Castell’Apollonio, fu per la seconda volta distrutto l’ anno 1300, come si crede, e gli abitanti superstiti si ritirarono fralle rovine del vicino castello S. Angelo, oggi Madama, il quale l’anno 1308 fu da Riccardo e Poncello Orsini riedificato, siccome fu notato a suo luogo.
Uscendo da Tivoli per la porta Arcense, o S. Giovanni, passata la valle Arcense, e gli acquedotti antichi, seguendo la strada, che oggi dicono di Siciliano e di Ampiglione, 3 miglia e mezzo lontano da Tivoli, veggonsi sopra un colle a sinistra gli avanzi di una conserva antica quadrilunga, la quale internamente ha 58 piedi di lunghezza e 42 di larghezza, ed è divisa da tre ordini di pilastri: la lunghezza è parallela alla strada, cioè da sud-est a nord-ovest: e verso levante sono gl’indizii di una piccola fontana, la quale era fornita da questa conserva, ed ambedue appartenevano ad un casino di antica villa. Questa conserva è costrutta di scaglie. In questo luogo sulla strada sono colli tufacei dirupati: sul monte a destra veggonsi grotte: e sul colle erto a sinistra sono gli avanzi di una fortezza de’tempi bassi, che nella carta di Revillas viene indicata col nome di Poggio, della quale si fa menzione in questa guisa nel Chron. Sublacense. “Dopo che nell’anno 1125 fu distrutto il castello di Apollonio, ed incendiato Barbarano dai Tiburtini, questi venuti a transazione coll’abbate di Subiaco, domandarono per mezzo di Milone loro rettore, che fosse permesso ai Geranesi della porzione di S. Lorenzo di trasportarsi con tutti i loro effetti ad abitare il Poggio di Casa Populi, e questo fu dall’abbate permesso di mala voglia. Quindi i Tiburtini vi edificarono una torre alta e solida, e munirono il villaggio con fossa e terrapieno, e vi posero un presidio di fanti ed arcieri a danno della abbazia.” Poco però durò questo castello, che essendo stato preso nel 1140 da Innocenzo II insieme colle altre terre circonvicine rimase smantellato e deserto.
Dopo le vestigia di questo castello, traversati due rigagnoli, vedesi a destra, rasente la strada un pilastrino costrutto con molta cura, di opera saracinesca, il quale dal luogo stesso si conosce essere stato sempre isolato, e non aver mai servito ad altro che di segnale. Infatti quasi incontro a questo a sinistra si riconoscono traccie di una via antica, che saliva in direzione di Castel Madama, rimanendovi ancora molti poligoni smossi di lava basaltica dell’antico pavimento. Seguendo l’andamento di questo diverticolo antico, salendo sul colle a sinistra della strada di Siciliano, dopo avere osservato, che ivi la rupe è tagliata a picco, cominciarsi ad incontrare gli avanzi di una villa antica, consistenti in un muro di sostruzione di opera reticolata con legamenti di mattoni e parallelepipedi di tufa, una parte del quale è rovesciato. Questo muro serve a sostenere un terrazzo, sopra il quale un altro ne sorge, che contiene i ruderi di una chiesa. Questo terrazzo superiore, dal canto che è parallelo alla strada di Siciliano, è decorato di nicchie: quattordici ne rimangono ancora, che occupano lo spazio di circa 100 piedi: e dinanzi a queste è un euripo largo 3 piedi e mezzo. Quindi è chiaro che da questo lato la sostruzione era ornata di altrettante fontane, quante sono le nicchie, che empievano l’euripo sottoposto in un modo analogo a quello che vediamo a villa Pamfili. La costruzione del secondo terrazzo, in parte è di opera incerta, in parte di opera reticolata, indizio che debba riguardarsi come opera degli ultimi tempi della republica. È sopra questo secondo ripiano la chiesa diruta ricordata di sopra, consacrata alla Vergine, che il volgo appella S. Maria delle Cave per le vicine cave di pozzolana: essa fu de’Benedettini e vien nominata nella bolla di Giovanni XII, dell’anno 958, dalla quale apparisce, che il fondo a que’tempi formava parte della Massa Apollonii, e che chiamavasi Tospoliano: e che la chiesa era dedicata a s. Maria ed a s. Lucenzio. Il muro settentrionale di questa chiesa è di opera reticolata, onde dee credersi che essa fu edificata in una sala della parte culminante della villa. Presso di questa vidi sparsi per terra rocchi di colonne di granito rosso e di travertino, ed un capitello di marmo greco di ordine ionico.
Scendendo di nuovo da questi avanzi alla strada di Siciliano, trovasi tosto la osteria che chiamano di Ampiglione e di Siciliano, situata a sinistra della via, circa 4 miglia distante da Tivoli, ed un quarto dal diverticolo sovraindicato. Accanto a questo abituro, a sinistra della porta è un’ara sepolcrale, con rosoni ne’lati, e colla iscrizione quasi cancellata, che dice così, in caratteri di bella forma:

P. VPPVRIVS PHILEBOS
P. VPPVRIVS HELLIX

Sotto la iscrizione sono altri rosoni. Appena passata la osteria a sinistra è una specie di nicchione, che serve ad indicare la sorgente che dà l’acqua al fontanile a destra della via. Poco dopo vedesi a destra una piccola conserva di opera reticolata, rivestita nell’interno di signino, e vicino a questa è un’altro rudere incognito.
A piccola distanza però, cioè circa un ottavo di miglio dopo la osteria, l’occhio si arresta a sinistra sopra un pezzo di muro pelasgico costrutto di poliedri di tufa, i quali sono lavorati in tutte le faccie. I massi più grandi hanno le dimensioni di 4 piedi nella lunghezza e di uno in altezza: sono disposti in guisa da formare un’arcuazione continuata a scacco, riempiuta di massi della stessa specie. E di tal costruzione questo pezzo è il solo, che io conosca fatto di tufa, giacché ordinariamente le mura di massi poliedri sono di calcaria. Dove questo muro è meno smantellato conserva circa 8 piedi di altezza, e si estende per 500 piedi lungo la strada, sempre però men alto: e dagli avanzi di opera incerta, che ivi rimangono è chiaro che fu ristaurato, sia per uso di villa, sia per altro ne’tempi sillani. Ora questo recinto è un avanzo di Empulum, città collocata sopra due fimbrie dalla cresta di Castel Madama, che avanzandosi verso le opposte pendici restringono notabilmente la valle di Siciliano in modo da formare quivi una gola, della quale Empulum fu la porta, o la chiave, circostanza che diè origine al suo nome, come fu notato di sopra. Di queste fimbrie, la prima dopo la osteria presenta le vestigia di tre recinti diversi, ed i poliedri impiegati in questi sono maggiori di quelli che veggonsi negli altri. La posizione di questa città è bene immaginata per difendere il recesso della valle empulana. Nel terzo recinto della prima sezione della città veggonsi avanzi di un muro di opera reticolata, costrutto sopra un muro di opera incerta: ivi pur sono le vestigia di un terrazzo quadrilatero, che forse appartenne ad una villa romana sorta posteriormente sopra le rovine di Empulum. Questo terzo recinto io credo che costituisse l’antica cittadella. Lungo il lato meridionale di questo terrazzo vedesi un acquedotto inserito nel colle, il quale diretto prima da mezzogiorno a settentrione volge tosto da levante a ponente. La parete interna di questo acquedotto è di opera reticolata, quasi incerta, la esterna è di opera incerta piuttosto grossa. L’altra fimbria avea due recinti soli.
Poco dopo aver passato il diverticolo di Castel Madama vedesi sulla falda del colle susseguente l’avanzo di un colombaio ridotto oggi ad abituro rurale, entro una vigna a sinistra. Aderenti ad esso sono gl’indizii di un altro colombaio, ed ivi dappresso immediatamente più in alto avanzi di sostruzioni a piccioli parallelepipedi con contrafforti, e questi sono i primi avanzi di una villa sontuosa romana, edificata dopo l’abbandono di Empulum, la quale diè origine ad Ampiglione, ossia al castrum Apollonis, o Apollonii de’tempi bassi. Le rovine di questa villa appartengono all’ultimo periodo della republica: essi sono di opera incerta bellissima, e fanno riconoscere ancora la esistenza di due terrazzi. Fra il primo ed il secondo terrazzo sono muri di opera mista, ruderi di opera detta saracinesca con legamenti di opera laterizia, e rivestimento di astraco, e dietro di questi lavori una conserva quadrilunga di opera incerta grossolana con legamenti laterizii. A sinistra sono gli avanzi della chiesa di s. Martino, la cui tribuna verso occidente attesta la sua origine antica: i muri di questa chiesa sono costrutti con quadrelli di opera reticolata, tolti da fabbriche antiche, mattoni, pietre ce., come tutte le opere de tempi bassi. Essa viene ricordata nella bolla di Giovanni XII, dell’anno 958 riferita di sopra. Sull’ultimo ripiano di questo colle sono le vestigia del castrum Apollonii: nella costruzione del muro di questo castrum veggonsi nel lato settentrionale impiegati massi tetraedri di pietra, tolti da qualche fabbrica antica esistente in questi contorni. Quanto poi alla villa antica, la parte culminante di essa lascia travvedere nel lato meridionale muri del tempo della decadenza, forse aggiunti dall’Apollonio, che diè nome alla contrada, mentre nel rimanente è di opera reticolata e mista. Verso la valle la fronte, era parallela alla via sottogiacente, e presentava un ordine di occhi, o fenestre rotonde, che davano lume ad un corridore, e ad un ordine di camere addossate al monte, quattro delle quali sono ancora visibili. Queste camere non essendo ornate, né presentando alcuna traccia di esserlo state giammai, sembra che servissero per horrea, magazzini.

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